Giuseppe De Stefano
20/04/2016

Impianti di compostaggio e biodigestione: dpcm in GU

Ultimo aggiornamento: 9 Aprile 2016 alle 09:04

compost

Pubblicato in Gazzetta Ufficiale nell’edizione di ieri, 19 aprile 2016, il dpcm dell’art.35 della legge 164 dell’11 novembre 2014, meglio noto come Sblocca Italia. La rete impiantistica individuata da questo decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, però, questa volta non riguarda il soddisfacimento del fabbisogno di incenerimento, ma il meno chiacchierato comma 2, cioè la ricognizione dell’offerta esistente e l’individuazione del fabbisogno residuo di impianti di recupero della frazione organica dei rifiuti urbani raccolta in maniera differenziata, meglio noti come impianti di compostaggio e biodigestione. Una “mappatura” impiantistica che, anche in virtù della sua origine normativa, era stata oggetto del dibattito in sede di conferenza Stato-Regioni dove ottenne parere favorevole lo scorso 20 gennaio mentre parallelamente si infiammava la più accesa vicenda dei termovalorizzatori.

Tale individuazione , come previsto dal decreto, va articolata, appunto, per Regioni con l’obiettivo di ottenere un progressivo riequilibrio socio-economico fra le aree del territorio nazionale in linea con la pianificazione regionale di gestione degli rsu e con le politiche nazionali e locali di gestione della raccolta differenziata. Ma soprattutto guardando ai target fissati dalle politiche comunitarie, che puntano al 50% di riutilizzo e/o riciclaggio entro il 2020 per i rifiuti provenienti da nuclei domestici (ivi compresa, ovviamente, la frazione organica degli rsu, vale a dire l’umido).

La stima del fabbisogno teorico di trattamento dell’organico da differenziata è stata effettuata identificando su base empirica la necessità di soddisfare una forbice compresa tra i 110 ed i 130 kg annui per abitante per raggiungere gli obiettivi di legge del 65% di recupero (per poi essere riadattato in quei territori in cui il dato risultasse basso rispetto alle statistiche di produzione, quali Lombardia, Umbria, Lazio, Abruzzo e Campania). Per quanto riguarda, invece, l’impiantistica esistente a livello metodologico il Ministero dell’Ambiente ha dovuto provvedere ad incrociare e livellare i dati Ispra con le comunicazioni delle singole Regioni. Il risultato finale ricavato per differenza tra il fabbisogno stimato e la capacità offerta e pubblicato in Gazzetta Ufficiale è stato riportato nell’allegato III del dpcm (questo) e soltanto cinque Regioni sono risultate già pienamente dotate delle strutture necessarie (Velle D’Aosta, Veneto, Friuli, Umbria e Sardegna) mentre per altre tre la necessità è solo parzialmente soddisfatta o comunque limitata sia pure in prospettiva (Piemonte, Emilia Romagna e Puglia).

Il dato pubblicato ieri in Gazzetta vincola le amministrazioni regionali, al momento della revisione del proprio piano di gestione dei rifiuti, ad implementare numero e localizzazione di massima dell’impiantistica necessaria a soddisfare quel fabbisogno residuo ivi indicato. Attesa al varco nei prossimi mesi la Campania, prima in classifica per produzione annua di umido “senza casa” da destinare a trattamento con stime tra le 767 e le 884mila tonnellate, che dovrebbe pubblicare prossimamente il suo nuovo piano. Subito dopo la Sicilia in odore di commissariamento (348-450mila tonnellate annue stimate) e il Lazio (tra le 324 e le 442mila).

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