Batterie, allarme per la stretta cinese all’export: “Serve strategia Ue di riciclo”

di Luigi Palumbo 17/10/2025

Dal prossimo 8 novembre Pechino introdurrà licenze obbligatorie per l’esportazione di componenti e tecnologie per batterie. Una mossa che rafforza il controllo cinese sulla filiera globale degli accumulatori e rischia di rallentare la transizione europea. Laura Castelli (Erion Energy): “Servono strategie comuni di riciclo per ridurre la dipendenza. L’Italia può essere hub europeo”


Il braccio di ferro tra potenze mondiali per il controllo delle risorse chiave nei settori dell’energia, della difesa e del digitale sta per entrare in una nuova fase. Dal prossimo 8 novembre la Cina serrerà ulteriormente la presa sulla catena del valore delle batterie, con nuove restrizioni alle esportazioni di componenti e tecnologie. “Il 9 ottobre scorso il Ministero del Commercio di Pechino e l’amministrazione generale delle dogane hanno deciso l’introduzione di controlli sulle movimentazioni di batterie agli ioni di litio, materiali catodici e anodici a base di grafite e tecnologie per la produzione di batterie – spiega a Ricicla.tv Laura Castelli, direttore generale di Erion Energy e presidente del Centro di coordinamento nazionale pile e accumulatori – quindi per spedire questi materiali dalla Cina al resto del mondo sarà necessario ottenere una licenza di esportazione”. In sostanza il controllo delle movimentazioni sarà subordinato alla discrezionalità del governo cinese, che nei nuovi scenari di competizione globale punta così a rafforzare la propria posizione di dominio commerciale e industriale sulla filiera delle tecnologie per l’accumulo di energia.

“La Cina detiene già il controllo della produzione e della lavorazione dei materiali per le batterie – chiarisce Castelli – e con questa mossa vuole mettere ulteriormente in sicurezza elementi e tecnologie che trovano applicazione non solo in campo energetico ma anche militare”. Nel confronto muscolare tra potenze globali l’Europa è destinata a pagare un prezzo altissimo e il settore delle batterie non fa eccezione. Il Vecchio Continente oggi rappresenta solo il 7% della produzione mondiale di accumulatori, importa il 40% di quelli che utilizza direttamente dalla Cina e dipende quasi esclusivamente da Pechino per l’approvvigionamento di risorse strategiche come grafite, litio, cobalto o nichel. Dipendenza che getta un’ombra sul destino della transizione verde, dall’elettrificazione della mobilità allo sviluppo delle energie rinnovabili. E anche se la nuova stretta alle esportazioni di batterie, che si aggiunge alle restrizioni già operative sull’export di ‘terre rare’, “non fermerà la transizione – dice Castelli – di sicuro la renderà più complessa, più lenta e più costosa“. Tutto il contrario di quello che serve per raggiungere l’obiettivo europeo di una decarbonizzazione competitiva, che sia amica non solo del clima ma anche delle tasche di cittadini e imprese.

In questo scenario, spiega il direttore di Erion Energy, “abbiamo la necessità di renderci il più autonomi possibile”. Anche investendo in nuova capacità di riciclo delle batterie a fine vita, che non basterà a interrompere la dipendenza dalla Cina ma di sicuro aiuterà a ridurla. Per questo il nuovo regolamento europeo sulle batterie prevede che dal 18 agosto 2031 chi immette accumulatori sul mercato dell’Ue debba utilizzare almeno il 16% di cobalto, l’85% di piombo, il 6% di litio e il 6% di nichel provenienti dal riciclo. Ma da solo non basterà. Il problema, dice Castelli, “è che oggi ogni Stato membro si sta muovendo per i fatti suoi per creare impianti di triturazione delle batterie esauste o di lavorazione della ‘black mass’, la pasta nera che contiene i materiali anodici e catodici da recuperare. Dobbiamo smetterla di pensarci come entità separate e lavorare in maniera sinergica e unita per uscire dallo stato di dipendenza nel quale ci troviamo”.

Secondo la ONG Transport&Environment sono almeno 34 i progetti di riciclo avanzato degli accumulatori in cantiere in tutta Europa, con una capacità complessiva di 780 mila tonnellate, ma il 44% delle iniziative starebbe incontrando difficoltà legate soprattutto agli alti costi di investimento e operativi. Piuttosto che correre ognuno per i fatti suoi, avverte Castelli, serve una strategia unica a livello europeo “che individui una serie di hub comuni“. Anche perché “un impianto chimico che tratti questa tipologia di materiali ha bisogno di volumi in ingresso rilevanti“, e la proliferazione di siti di trattamento rischia di impedire il raggiungimento delle necessarie economie di scala. Dal canto suo “l’Italia, in termini di competenze chimiche, è all’avanguardia rispetto a tanti altri paesi – dice Castelli – e quindi dovrebbe proporsi per essere uno degli hub europei”.

Perché l’idea di una strategia europea per il riciclo delle batterie possa davvero prendere corpo, però, oltre a realizzare gli impianti di recupero c’è anche da sciogliere i nodi regolatori che rischiano di rallentare lo sviluppo di soluzioni comuni. Nei mesi scorsi, ad esempio, la Commissione europea ha aggiornato l’elenco europeo dei rifiuti includendo la ‘black mass’ – insieme ai principali rifiuti da batterie esauste – nel perimetro giuridico dei rifiuti pericolosi e assoggettandola a regole più severe sulle movimentazioni transfrontaliere, incluso il divieto di esportazione verso i paesi in via di sviluppo. Una misura protezionistica per ridurre il rischio di ‘fughe’ all’estero, soprattutto verso la Cina, e aumentare la disponibilità interna di materiale da recuperare. Il problema è che la nuova classificazione “rende anche molto più difficile la movimentazione tra Stati membri – spiega Castelli – bisogna semplificare la gestione dentro i confini europei, altrimenti diventa tutto davvero complicato”.

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