Secondo uno studio presentato nell’ambito del progetto Life Biobest, nel 2024 gli Stati membri hanno intercettato il 45% del biowaste generato, ma solo il 25% dell’umido domestico. Secondo Michele Giavini del CIC “così non riusciremo a raggiungere il target Ue di riciclo al 2035”. Servono nuovi obiettivi vincolanti e un sistema di leve economiche e fiscali
Nel 2024 gli Stati membri dell’Ue hanno intercettato e avviato a recupero appena un quarto degli scarti alimentari generati dai propri cittadini. È quanto emerge da uno studio curato dalla Scuola agraria del parco di Monza e presentato nell’ambito del progetto europeo Life Biobest, nato con l’obiettivo di migliorare e armonizzare i sistemi di raccolta e trattamento del biowaste in Ue. Una filiera strategica per la transizione verde, indispensabile per trasformare i rifiuti organici in compost e biogas ma che, al momento, presenta un quadro frastagliato segnato più da ritardi che da gestioni virtuose.
Secondo lo studio, infatti, nell’anno dell’avvio dell’obbligo di raccolta differenziata dell’organico – che in Italia è scattato già nel 2022 – i 27 hanno raccolto in maniera differenziata il 25% degli oltre 60 milioni di tonnellate di umido domestico che si stima siano stati prodotti, pari a poco più di 15 milioni di tonnellate, ovvero 98 su 219 kg pro capite. Sommando agli scarti di cucina anche gli sfalci del verde urbano si raggiunge invece un’intercettazione del 45%, pari a 51 milioni di tonnellate sui 113 generati. “I numeri ci dicono che circa 45 milioni di tonnellate di organico finiscono in discarica o inceneritore. Una quantità enorme”, avverte Michele Giavini del Consorzio Italiano Compostatori.
“Se non miglioriamo la raccolta del biowaste – dice il ricercatore – non riusciremo a raggiungere il target europeo del 65% di riciclo dei rifiuti urbani entro il 2035″. E non solo perché meno biowaste si raccoglie e meno se ne ricicla, come è ovvio, ma anche perché l’organico che sfugge alla raccolta, nello specifico l’umido domestico, a sua volta può pesare sulle performance di riciclo delle altre frazioni differenziate, a partire dagli imballaggi. “Se separiamo correttamente la parte ‘umida’ – spiega infatti Giavini – facciamo in modo che tutto il resto (come carta o plastica) sia più pulito e più semplice da selezionare”. Senza dimenticare che l’organico che sfugge alla differenziata finendo nei rifiuti residui (fino a rappresentarne il 33% circa in media in Ue, secondo uno studio del 2017) gonfia i costi di incenerimento “costringendoci sostanzialmente a bruciare acqua”, dice Giavini, e, peggio ancora, “quando smaltito in discarica genera metano, il più potente dei gas climalteranti”.
Anche se l’introduzione dell’obbligo di raccolta differenziata ha sicuramente contribuito a migliorare le cose – visto che nel 2022 il tasso d’intercettazione del biowaste si fermava al 32% – lo scenario, rileva tuttavia lo studio, resta profondamente disomogeneo, soprattutto guardando alla raccolta dell’umido domestico “che è la frazione principale sulla quale concentrarsi”, spiega Giavini. A fronte di una media europea del 25%, nel 2024 si va dal primato dell’Italia, che si colloca intorno al 65%, al 30% della Germania, fino a percentuali vicine allo zero in Grecia e Cipro o Romania. “Ci sono dei miglioramenti, soprattutto nei paesi dell’est, che negli ultimi anni hanno avviato sistemi di raccolta differenziata. Nelle precedenti rilevazioni – aggiunge – alcuni erano tra lo 0 e il 5% di raccolta e adesso invece assistiamo anche a incrementi significativi, ma si può fare di più“.
Secondo i promotori di Life Biobest, l’obbligo di raccolta differenziata, da solo, non basta, ma deve essere affiancato a nuovi obiettivi vincolanti: per le quantità di biowaste nei rifiuti residui – il suggerimento è di fissarli a 25 kg pro capite l’anno entro il 2030 – per le impurità presenti nelle quantità avviate a riciclo – come il 5% massimo fissato dai CAM italiani sui servizi di raccolta rifiuti – e per la produzione di rifiuti residui non riciclabili – individuato in un massimo di 120 kg pro capite l’anno entro il 2030.
Altro fronte d’intervento quello della competitività dei trattamenti di riciclo organico, da garantire attivando leve economiche e fiscali che disincentivino il ricorso ai gradini più bassi della gerarchia dei rifiuti, discarica e recupero energetico. Un esempio è il sistema di premialità e penalità introdotto dalla Catalogna, con una tassa da 35 o 70 euro per tonnellata, a carico dei Comuni, sui rifiuti avviati a recupero energetico o smaltimento (oltre alle tariffe di conferimento) e un rimborso da 34 o 54 euro a tonnellata per il raggiungimento di standard di qualità e quantità delle raccolte differenziate.
Sempre in tema di competitività, avvertono poi i ricercatori, serve rilanciare la domanda pubblica e privata di compost e digestato, soprattutto nel mondo agricolo, introducendo regimi di sostegno per gli agricoltori, magari nella cornice dei piani di sviluppo rurale. Prima di attivare le leve economiche, tuttavia, serve adeguare il quadro normativo di riferimento, che allo stato attuale non garantisce il pieno riconoscimento della funzione di arricchimento del suolo esercitata da compost e digestato, intervenendo nella legge europea per il monitoraggio del suolo o nella PAC. Un tema da mettere al centro anche nel futuro Circular Economy Act.
“Pur essendo di fatto la frazione più importante dei rifiuti urbani – dice Giavini – il biowaste non può beneficiare di alcuno schema di responsabilità estesa del produttore, come nel caso degli imballaggi. Per questo -sottolinea – è indispensabile includere leve economiche o meccanismi incentivanti che ne rendano più sostenibile la raccolta”. Il tema sarà al centro di un digital talk in programma per venerdì 16 maggio alle 11 su Ricicla.tv per fare il punto sui sostegni al settore del riciclo organico, con uno sguardo al post PNRR.