Il titolare del Mase ha annunciato l’ingresso del nostro Paese all’interno dell’Alleanza a margine del Consiglio Ue Energia in corso a Lussemburgo. Ma resta il nodo irrisolto della gestione delle scorie radioattive
“L’Italia ha formalmente aderito all’Alleanza per il Nucleare, dove era stata Paese osservatore fino ad oggi”, questo l’annuncio del ministro per l’Ambiente e la Sicurezza energetica, Pichetto Fratin, a margine del Consiglio Ue Energia in corso a Lussemburgo.
“Questa decisione avviene a seguito della scelta del governo nazionale e della maggioranza di presentare il disegno di legge per il ritorno alla produzione di energia nucleare, così come previsto dal Piano Nazionale Integrato del Clima – ha proseguito il ministro che ha aggiunto – è una scelta che ha risvolti industriali e tecnologici che ci vedono in prima fila e su cui continueremo”.
L’Alleanza per il Nucleare era nata nel 2023 sotto impulso della Francia, con l’obiettivo di promuovere gli interessi dei Paesi favorevoli a investire su questa fonte energetica. Oltre a Roma e Parigi, fanno parte del gruppo anche Belgio (entrato nel 2025), Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Ungheria, Paesi Bassi, Romania, Slovacchia, Slovenia e Svezia.
L’Alleanza si pone come obiettivi il rafforzamento del ruolo dell’energia nucleare all’interno della strategia per la transizione verde nell’Unione europea e di creare una filiera industriale europea competitiva nel settore, riducendo, così, anche la dipendenza energetica da Paesi terzi, oltre a garantire basse emissioni di carbonio e approvvigionamenti stabili. Altri target riguardano il coordinamento degli investimenti, la ricerca su nuove tecnologie e la promozione di piccoli reattori modulari (SMR).
Per l’Italia si tratta di un cambio di rotta importante, dopo i due referendum che nel 1987 prima e nel 2011 poi avevano ribadito il ‘no’ al nucleare. Ma, mentre si guarda al futuro e ai nuovi possibili piccoli reattori nucleari, restano, in Italia, ancora tanti nodi da sciogliere sul ‘nucleare che fu’ e soprattutto sullo stoccaggio in sicurezza dei rifiuti radioattivi. Secondo l’Isin (Istituto nazionale per la sicurezza nucleare) nel 2023 i rifiuti radioattivi presenti sul territorio nazionale ammontavano a 35mila 447 metri cubi, generati dal decommissioning delle ex installazioni nucleari italiane ma anche dalle quotidiane attività di ricerca, dalla medicina nucleare e dall’industria. Ai rifiuti già stoccati si aggiungeranno, poi, circa 48mila metri cubi generati dal prosieguo delle attività di decommissioning.
Numeri che non possono essere ignorati, soprattutto se si considera che non è stata ancora individuata la località che dovrebbe ospitare il primo deposito nazionale. La proposta di Carta Nazionale delle Aree Idonee (CNAI) è tuttora oggetto di Valutazione Ambientale Strategica, ma le località indicate hanno già tutte manifestato la propria indisponibilità ad accogliere la struttura. Senza dimenticare che anche il tentativo del governo di aprire a nuove autocandidature è andato a vuoto, allungando ulteriormente i tempi per la realizzazione dell’opera. Proprio il ministro Pichetto Fratin lo scorso anno, in audizione alle commissioni Ambiente e Attività produttive della Camera, ha chiarito che “in base alle stime attuali, si potrà ottenere l’autorizzazione unica per il Deposito nazionale delle scorie nucleari nel 2029, con la messa in esercizio prevista entro il 2039“.
Tornando in Ue, nel corso del Consiglio Energia, la Commissione europea sottoporrà ai ministri il Programma illustrativo nucleare (Pinc), pubblicato lo scorso 12 giugno, in cui si stima che la necessità di investimenti entro il 2050 per garantire il prolungamento della vita operativa dei reattori esistenti e per costruirne di nuovi su larga scala è di 241 miliardi di euro. L’obiettivo principale di Bruxelles, però, resta al momento quello di porre fine alle importazioni di gas russo: “inviamo un segnale molto chiaro alla Russia: non vi permetteremo più di usare la vostra energia come arma contro di noi. Non vi permetteremo più di ricattare i nostri Stati membri e non contribuiremo più indirettamente a finanziare la guerra di Putin – ha detto arrivando alla riunione il Commissario Ue per l’Energia, Dan Jørgensen – Vogliamo fermare l’importazione di energia dalla Russia all’UE, principalmente, ovviamente, di gas”, ha concluso.