Plastica, riciclo e recupero energetico: un approccio integrato

di Giuseppe De Stefano 11/09/2017

Integrare le strategie e le tecnologie per ottimizzare la gestione dei rifiuti in Europa, in particolare la plastica. Con questo appello la ESWET, associazione dei fornitori di tecnologia per il recupero energetico (European Suppliers of Waste-to-Energy Technology) ha reso pubblica la sua posizione, affidata ad un position paper, in vista della conferenza che la Commissione Europea sta organizzando per il 26 settembre dedicata alle prossime strategie comunitarie sulla plastica. Come già annunciato all’inizio dell’anno, infatti, entro la fine del 2017 dovrebbe essere adottata una strategia sulla plastica, uno dei principali passi da compiere per assicurare una tempestiva implementazione del Piano d’Azione per l’Economia Circolare.

A livello Europeo più di 1,4 milioni di persone lavorano nell’industria della plastica, che vale oltre 350 miliardi di euro ogni anno: eppure continuano ad esserci sprechi di materia a causa di ancora troppo basse percentuali di riciclo e a fronte di un’alta dipendenza dalla materia prima vergine. Negli annunci, la strategia della Commissione Europea punta a realizzare un contesto favorevole agli investimenti ed all’innovazione per rendere più efficiente l’industria del riciclo.

Un approccio che sembrerebbe avere l’effetto di appesantire quella che suona come una strisciante contrapposizione ideologica tra riciclo e recupero energetico. Probabilmente è per questo che la ESWET ha ritenuto doveroso per parte sua apportare all’imminente dibattito una serie di precisazioni sul ruolo del “waste-to-energy” come complementare allo sviluppo dell’industria del riciclo nella filiera industriale della gestione dei rifiuti.

Il punto di partenza, secondo ESWET, è che accettare che l’idea che un materiale così diffuso sia totalmente riciclabile per un numero infinito di volte non è realistico. Il recupero energetico è da preferire, a seconda dei casi, per via della presenza di sostanze potenzialmente pericolose, per via della perdita di qualità dei polimeri in seguito ad ogni ciclo di recupero, ed infine per meri motivi di efficienza energetica del processo, quindi puramente ecologici.

Quanto alle sostanze pericolose, in effetti, la legislazione europea tende a porre limitazioni – quando non li vieta tout court – su una serie di elementi chimici. La ESWET pone l’esempio dell’HBCD, l’esabromociclododecano: un ritardante di fiamma utilizzato, tra le altre cose, nelle schiume di polistirene per isolamento ed entrato nella lista degli inquinanti stilata dalla Convenzione di Stoccolma entrata in vigore nel 2015. Proprio l’utilizzo nei materiali isolanti è l’unico ancora permesso, il che significa che – trattandosi di un uso per materiali di lunga durata – bisognerà porsi il problema di trattare rifiuti contenenti sostanze come questa ancora a lungo. E in questi casi l’incenerimento è l’unico trattamento che garantisce la rimozione degli inquinanti impensabile in qualsiasi processo di riciclo.

Il secondo punto è quello della perdita di qualità: in seguito a diversi passaggi di riciclo la qualità del materiale tende a diminuire fino al punto in cui la plastica non è più adatta al riciclo stesso. ESWET sostiene la ricerca che spinge verso la riciclabilità dei prodotti, magari garantita dall’aggiunta di materia vergine o additivi come soluzione per le plastiche compromesse, ma il passo successivo nella vita delle plastiche ormai “decadute” dovrebbe essere quello del recupero energetico perché l’alternativa per questi materiali resterebbe solo quella della discarica.

Il terzo ed ultimo punto, quello dell’efficienza, nello statement dell’associazione europea si traduce in una sostenibilità economica ed ecologica delle attività, riscontrabile nell’impatto ambientale del processo in questione e nella sua capacità di avere come output un prodotto riciclato di buona qualità che abbia mercato. In particolare la ESWET evidenzia le problematiche poste dai derivati delle plastiche miste. In questo caso oltre alle possibili sostanze contenute in questi mix e al loro livello di “decadimento” qualitativo, ci si pone il problema dei costi di selezione, pulizia e trattamento. Il riciclo delle plastiche miste è possibile e ne va valutata la fattibilità, ma – è questa la posizione dell’associazione – bisogna valutarne anche la convenienza da un punto di vista strettamente ambientale.

Per questo – conclude il position paper – ESWET si deve andare verso un approccio il più possibile integrato nella gestione della plastica verso una vera economia circolare che massimizzi il valore delle risorse utilizzandole e – in linea con la gerarchia europea per la gestione dei rifiuti – riciclandole fin quando è possibile, dopodiché è giusto sfruttarne il potenziale energetico.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *