Il Consiglio di Stato riapre il dibattito sul mercato dei rifiuti organici avviati a recupero. Secondo i giudici è legittimo limitare l’affidamento su base territoriale nel rispetto del principio di prossimità. Che quindi prevarrebbe su quello di libera concorrenza
Il rispetto del principio di prossimità nel trattamento dei rifiuti può tradursi in limitazioni territoriali al recupero senza che questo leda la concorrenza sul mercato. Lo ha chiarito il Consiglio di Stato, con una sentenza emessa nell’ambito di una controversia tra un operatore privato e una società consortile, colpevole, secondo il privato ricorrente, di aver bandito una gara per l’affidamento del servizio di trattamento dei rifiuti organici limitando la partecipazione alle sole offerte che prevedessero il conferimento a impianti situati entro un massimo di 35 km dalla sede legale. In primo grado il ricorso dell’operatore privato, escluso dalla procedura di gara, era stato respinto dal TAR Emilia-Romagna per inammissibilità, mentre nel giudizio di secondo grado i giudici della quarta sezione del Consiglio di Stato sono entrati nel merito, respingendo l’appello sulla base della lettura della normativa di riferimento.
Anche se per i rifiuti organici avviati a recupero la legge prevede la libera circolazione su tutto il territorio nazionale, scrivono i giudici, è lo stesso codice ambientale al comma 5 dell’articolo 181 “che impone alle stazioni appaltanti – chiarisce il Consiglio di Stato – di privilegiare ‘anche con strumenti economici, il principio di prossimità degli impianti di recupero'”. Principio che, si legge, “trova il suo fondamento in ragioni di tutela ambientale”, cosa “sufficiente ad escludere il dedotto profilo di illegittimità” delle clausole del bando di gara che limitavano la partecipazione ai soli soggetti economici che potessero assicurare il conferimento a impianti situati entro una precisa distanza dalla sede legale dell’azienda appaltante.
Una lettura che sembra far prevalere il principio di prossimità su quello di libera concorrenza, e che per questo è destinata a riaccendere il mai sopito dibattito sul disegno di mercato per il trattamento a recupero dei rifiuti organici, dopo la lunga querelle sul sistema dei cosiddetti ‘impianti minimi’ di ARERA. Anche in quel caso la vicenda si era conclusa con un pronunciamento dei giudici di Palazzo Spada, ma con un giudizio di segno quasi opposto, che in chiave pro concorrenziale aveva dichiarato illegittimo il meccanismo di tariffe e flussi regolati messo a punto da ARERA perché attribuiva alle Regioni il potere di operare una “sostanziale acquisizione al sistema pubblicistico di impianti operanti in regime di libera concorrenza”, di fatto “avocandosi un potere di direttiva attribuito allo Stato“. La sentenza del Consiglio di Stato si muove in direzione opposta anche rispetto a quanto chiarito in precedenza dall’Autorità Nazionale Anticorruzione, che in una delibera dello scorso anno aveva rilevato come “sulla base dei più recenti approdi giurisprudenziali, il principio concorrenziale sembra prevalere rispetto al principio di prossimità ambientale“.
E’ possibile leggere gli estremi delle sentenze citate?