Luigi Palumbo
21/02/2022

Rifiuti, tra EPR, vincoli di mercato e inceneritori: cosa pensano le imprese del ddl concorrenza

Ultimo aggiornamento: 12 Febbraio 2022 alle 12:02

Dal plauso per la riduzione del vincolo quinquennale per le utenze non domestiche ai dubbi di Conai sui sistemi alternativi per la raccolta degli imballaggi, passando per il nodo dello smaltimento dei rifiuti non riciclabili: le voci delle imprese ascoltate in commissione Industria al Senato sul ddl concorrenza

Il lungo ciclo di audizioni in commissione industria del Senato sul disegno di legge annuale per la concorrenza, approvato lo scorso novembre dal governo, riaccende i riflettori su quello che è da sempre uno dei fronti più caldi del dibattito sugli scenari presenti e futuri del waste management nostrano. Un mercato sempre più complesso e articolato, tra operatori privati e gestioni pubbliche, tra consorzi consolidati e sistemi di responsabilità estesa del produttore emergenti, tra colossi industriali e piccole aziende a conduzione familiare. Un settore che, soprattutto a Sud, appare spesso frammentato e disomogeneo, come stigmatizzato dall’autorità nazionale di regolazione Arera, con ritardi sul piano dello sviluppo industriale che il governo punta a recuperare utilizzando anche la leva del libero mercato, mettendo in campo “norme finalizzate a rafforzare l’efficienza e il dinamismo concorrenziale” anche “nella prospettiva di colmare le attuali lacune impiantistiche”, si legge nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, del quale il ddl concorrenza rappresenta di fatto una delle riforme cosiddette ‘abilitanti’. Un piano d’azione maturato anche sulla scorta delle ripetute sollecitazioni dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, che da tempo invoca una maggiore apertura alla concorrenza nel settore dei rifiuti urbani. L’ultima volta proprio nelle proposte inviate al governo per la redazione del disegno di legge annuale attualmente allo studio del Senato.

Venendo al testo in esame a Palazzo Madama, nelle more dell’adozione della riforma di settore prevista all’articolo 6 (che dovrebbe vedere la luce entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge, come parte integrante di una più ampia revisione delle discipline in materia di servizi pubblici locali), il governo ha scelto di rispondere ai rilievi dell’antitrust dedicando al tema rifiuti l’intero articolo 12, con una serie di misure puntuali tra le quali spicca la riduzione da 5 a 2 anni della scelta, da parte delle utenze non domestiche, di servirsi del servizio pubblico o del ricorso al mercato per la gestione dei propri rifiuti urbani. Una misura che incassa il plauso delle imprese private, da sempre contrarie al vincolo quinquennale introdotto a partire da gennaio dello scorso anno dal decreto legislativo 116 del 2020. “Un vincolo assolutamente intollerabile – ha detto in audizione Giuliano Tarallo, presidente di Unirima, associazione dei produttori di carta da macero – la proposta di portarlo a due anni migliora sicuramente le cose, anche se nella sua segnalazione l’AGCM ne chiedeva la rimozione definitiva. Cosa che sarebbe sicuramente più rispettosa del normale andamento del settore cartario, che è riuscito a raggiungere con dieci anni di anticipo gli obiettivi europei di riciclo fissati al 2030 anche grazie ai meccanismi di mercato e di concorrenza vera tra tutti gli operatori”.

Ed è sempre il mondo della carta ad accogliere con favore il passaggio dell’articolo 12 che prevede l’esclusione dei gestori delle piattaforme di selezione dal novero dei soggetti coinvolti nell’accordo di programma Anci-Conai, intervento che anche in questo caso era già stato auspicato dall’antitrust. “Una decisione giusta – ha dichiarato Massimo Medugno, direttore generale di Assocarta – ma simmetricamente andrebbe corretta anche la previsione del Testo Unico Ambientale secondo cui la pubblica amministrazione garantisce la gestione della raccolta differenziata ‘nonché le operazioni di cernita e le altre operazioni preliminari‘. È una previsione – ha spiegato – che estende la privativa comunale, e quindi il raggio d’azione dei gestori del servizio pubblico, a operazioni che invece possono essere svolte benissimo dalle imprese operanti sul mercato”. L’esclusione dei centri di selezione dall’accordo quadro incassa l’ok anche da parte dello stesso Conai, secondo cui la misura “fa venire meno un elemento distonico nella rappresentazione degli interessi che è opportuno coinvolgere nella sua negoziazione”, come ha commentato il presidente Luca Ruini. Una valutazione “sostanzialmente positiva” quella formulata sul ddl concorrenza da Conai, che pure negli ultimi anni è stato più volte oggetto delle ‘attenzioni’ dell’antitrust. Nel 2016, ad esempio, l’AGCM aveva puntato il dito contro il “sostanziale monopolio” del sistema dei consorzi di filiera, invocando una maggiore apertura del mercato della raccolta e avvio a riciclo degli imballaggi a operatori indipendenti, compresi nuovi sistemi di responsabilità estesa del produttore.

“Conai condivide le modifiche proposte – ha detto Ruini – ma non possiamo non sottolineare che il ddl avrebbe dovuto occuparsi anche delle responsabilità di gestione dei sistemi ai quali afferiscono gli imballaggi che confluiscono nella raccolta differenziata urbana – ha spiegato – non solo per esigenze di tutela ambientale ma anche per evitare distorsioni di mercato e fenomeni di ‘cherry picking’”. Ovvero il rischio che i nuovi consorzi indipendenti operino solo in condizioni economicamente vantaggiose. Ad esempio raccogliendo prevalentemente i rifiuti da imballaggio prodotti presso le attività commerciali o industriali. “Sarebbe opportuno chiarire – ha aggiunto – che gli oneri delle attività di raccolta e gestione vengono assolti dai sistemi EPR in proporzione agli imballaggi immessi sul mercato e conferiti al servizio pubblico una volta divenuti rifiuti, anche quando i sistemi siano in grado di raggiungere gli obiettivi di recupero e riciclo attraverso la gestione dei soli rifiuti che derivano da un canale diverso da quello della raccolta urbana”. Secondo Conai infatti “il regime di responsabilità estesa del produttore include obblighi di varia natura, che attengono non soltanto al conseguimento di determinati obiettivi ambientali, ma anche alle modalità operative con le quali questi obiettivi sono realizzati”. “Gli EPR – ha perciò sottolineato Ruini – non possono limitare la loro attività alle aree in cui la raccolta dei rifiuti e la loro gestione siano più proficue e non possono sottrarsi agli obblighi relativi ai rifiuti di imballaggio confluiti nella raccolta differenziata pubblica, quantomeno sotto il profilo finanziario”.

Considerazioni che chiamano in causa il consorzio per il recupero degli imballaggi in PET Coripet, ultimo dei sistemi EPR alternativi al Conai autorizzato ad operare, riconosciuto in via definitiva dal luglio 2021 e la cui attività si basa, oltre che sulla differenziata in convenzione con comuni e gestori del servizio pubblico, anche sulla raccolta ‘selettiva’ grazie all’installazione di compattatori presso i punti vendita della grande distribuzione. “Stiamo installando compattatori in tutta Italia – ha spiegato il presidente di Coripet Corrado Dentis – da Milano a Lampedusa, anche definendo accordi con realtà come Esselunga, Coop, Ikea o Leroy Merlin”. Lo scopo è ottenere flussi omogenei di PET post consumo che incontrino gli standard di ‘pulizia’ fissati dalle norme Ue per la trasformazione in nuovi imballaggi per uso alimentare. Il cosiddetto ‘bottle to bottle’. “Gli sfidanti obiettivi europei di riciclo – ha aggiunto – non ultimi quelli introdotti con il recepimento della direttiva SUP (che prevede, tra l’altro, l’impiego a partire dal 2025 di non meno del 25% di PET riciclato nelle nuove bottiglie e il raggiungimento entro la stessa data del 77% di differenziata, ndr) ci obbligano a integrare il sistema tradizionale, stradale o porta a porta, con nuovi circuiti selettivi attivabili anche dai sistemi EPR. Dobbiamo fare in modo che coesistano più modelli di raccolta e riciclo. La concorrenza ci dà la grande possibilità di raggiungere elevati obiettivi di riciclo e va promossa con specifico riferimento ai rifiuti assoggettati al principio della responsabilità estesa del produttore. Bisogna assicurare la possibilità dell’avvio a riciclo – ha sottolineato Dentis – non solo per il tramite del gestore del servizio pubblico, ma anche tramite i nuovi circuiti”.

Non tutti i rilievi formulati dall’AGCM, però, sono stati recepiti dal governo nel ddl concorrenza. Resta fuori ad esempio l’invito a snellire gli iter autorizzativi per la realizzazione di impianti di recupero energetico per gli scarti non riciclabili. Una scelta che, in maniera solo apparentemente paradossale, lascia l’amaro in bocca proprio agli operatori del riciclo. “Come qualsiasi attività umana, anche il recupero di materia genera una percentuale minima di materiali che non è possibile riciclare – dice Tarallo – materiali che andrebbero gestiti in maniera diversa, ad esempio avviandoli a recupero energetico”. Solo che in Italia gli spazi disponibili negli impianti operativi sono sempre meno, e così per smaltire il non riciclabile bisogna andare sempre più lontano. E pagare sempre di più. Cosa c’entri questo con il tema della concorrenza lo spiega bene Massimo Medugno. “Oggi i rifiuti prodotti dal riciclo che non possono essere gestiti in maniera ragionevole ed economica sul territorio vengono caricati sui camion e spediti in paesi come Germania e Ungheria, in qualche modo ‘finanziando’ i nostri concorrenti, visto che paghiamo per dare ad altri dei rifiuti che potremmo trasformare in energia qui a casa nostra”. “In più – aggiunge Tarallo – questo espone il ciclo al rischio paralisi, come accade di frequente nelle regioni particolarmente segnate dalla carenza di impianti per lo sbocco finale degli scarti non riciclabili”.

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