Redazione Ricicla.tv
29/03/2023

Plastica, BEI: “Serve spingere il mercato dei polimeri riciclati”

Ultimo aggiornamento: 10 Marzo 2023 alle 10:03

Per raggiungere i target Ue sul riciclo della plastica servono investimenti tra i 6,7 e gli 8,6 miliardi di euro, calcola la Banca Europea degli Investimenti. Per mobilitarli, avverte però l’istituto, serve prima creare un mercato affidabile per i polimeri riciclati, che oggi invece faticano a reggere la concorrenza del materiale vergine. Tra le soluzioni c’è anche la ‘plastic tax’, che l’Italia però continua a rinviare


Ogni anno gli impianti di riciclo della plastica operativi in Europa generano circa 5 milioni di tonnellate di polimeri secondari. Vale a dire la metà di quelli che entro i prossimi due anni l’Ue punta a far rientrare nel circuito produttivo in sostituzione della plastica vergine, per trasformarli in nuovi prodotti e imballaggi. Un ritardo da colmare moltiplicando gli investimenti in tecnologie di selezione e riciclo, ma anche migliorando le performance di raccolta e, soprattutto, creando una cornice di policy capace di spingere il mercato della plastica riciclata, che oggi invece incontra ancora enormi difficoltà a competere con l’offerta di polimeri vergini derivati dal petrolio. Il cui utilizzo andrebbe disincentivato anche puntando su leve fiscali come l’italiana ‘plastic tax’. La Banca Europea degli Investimenti lancia l’allarme in vista delle imminenti scadenze fissate al 2025 dalla strategia Ue per la plastica: il raggiungimento del 50% di riciclo del packaging, ma soprattutto la sostituzione di 10 milioni di tonnellate di polimeri riciclati a quelli vergini.

Secondo l’istituto, oggi in Ue sono operativi 1200 impianti di selezione con un output di 12,5 milioni di tonnellate di plastiche, che vengono avviate a 650 impianti di riciclo, capaci di trasformarle in circa 5 milioni di tonnellate di polimeri riciclati. Per raddoppiare il flusso e incontrare il target Ue, scrive la BEI in uno studio, occorreranno investimenti compresi in un range tra i 6,7 e gli 8,6 miliardi di euro. E se il punto di partenza è migliorare la capacità di raccolta dei rifiuti, visto che “nel 2019 – riporta lo studio – 14 dei 27 paesi dell’Ue inviavano ancora più del 40% dei propri rifiuti di plastica in discarica”, per mobilitare i nuovi investimenti, avverte l’istituto, serve soprattutto creare un contesto di mercato che agevoli il passaggio a una gestione sempre più circolare dei prodotti in plastica, agendo a tutti i livelli della filiera per garantire la produzione di granuli riciclati di alta qualità e tenere costante la domanda. “È qui che troviamo un disallineamento – avverte la BEI – proprio dove la fine della catena del valore della plastica (riciclo) incontra l’inizio della catena (produzione)”.

Il problema, chiarisce lo studio, è che al momento “i modelli di business di produttori e trasformatori di plastica sono principalmente guidati da questioni di qualità e prezzo“. Ancora oggi, infatti, fatta eccezione per i polimeri riciclati a maggior valore aggiunto come il PET, “raggiungere la parità di prestazioni con gli articoli prodotti con materiale vergine è, per la maggior parte delle applicazioni in plastica, impedito da fattori quali colore, odore, contaminazione o contenuto di additivi preesistenti”. Caratteristiche che richiedono trattamenti più lunghi e complessi e che quindi determinano costi maggiori per i polimeri in uscita dagli impianti di riciclo. E anche per i materiali riciclati di qualità superiore generalmente il prezzo resta più alto del materiale vergine. Cosa che spinge i trasformatori a preferire il secondo, soprattutto quando i prezzi del petrolio sono particolarmente bassi.

“L’amara verità è che i fondamenti economici della selezione e del riciclo non funzionano. E l’economia deve funzionare prima di poter fare un investimento”, ha confidato alla BEI una nota organizzazione non governativa. Non che negli ultimi anni siano mancati gli sforzi per rendere più circolare il paradigma del materiale fossile per antonomasia. “Diversi produttori e trasformatori di materie plastiche – scrive infatti la BEI – stanno lavorando su innovazioni mirate a rendere i loro materiali e prodotti più riciclabili, mentre altri stanno concentrando i loro sforzi sulla minimizzazione dell’impatto ambientale dei propri prodotti”. Sul fronte delle tecnologie, invece, cresce l’attenzione per il riciclo chimico, che promette di dare seconda vita anche ai materiali a minor valore aggiunto. Ma restano dubbi “sull’impatto ambientale e sulla circolarità della tecnologia”, si legge nel report. E anche la sostituzione dei materiali sintetici con alternative bio-based, chiarisce lo studio, “non è generalmente considerata come una soluzione applicabile in maniera universale”. Da qui l’enfasi sulla necessità di un pacchetto di interventi legislativi e finanziari che punti a creare le condizioni di mercato necessarie a sbloccare gli investimenti privati, per colmare un gap in termini di selezione e riciclo calcolato tra i 6 e gli oltre 8 miliardi di euro.

Sul piano finanziario, ricorda la BEI, gli strumenti non mancano: dai piani d’investimento ai ‘green bonds’, passando per iniziative di ‘venture debt’ a favore delle imprese innovative. Ma è sul fronte delle policy che serve un cambio di passo, chiarisce l’istituto. Tra le proposte un giro di vite sul packaging difficile da riciclare, con disincentivi alla messa in commercio di imballaggi multistrato, compositi o in PVC, fino alla messa al bando del PET opaco, ma anche il rafforzamento dello strumento della responsabilità estesa del produttore, con l’estensione obbligatoria a specifici flussi di rifiuti in plastica diversi dagli imballaggi, a partire da quelli generati dai settori dell’automotive e dell’elettronica. In più, scrive l’istituto, serve fissare obiettivi minimi di contenuto riciclato nelle nuove produzioni, come quelli per le bottiglie in PET già introdotti dalla direttiva SUP.

È però sul capitolo della fiscalità che, secondo la BEI, deve concentrarsi l’attenzione dei legislatori nazionali e comunitari. L’istituto suggerisce infatti di “imporre sanzioni pecuniarie (tasse, prelievi) su produttori di materie plastiche vergini o trasformatori di imballaggi complessi in plastica” mentre “in termini di incentivi positivi, la plastica ad alto contenuto di materiale riciclato potrebbe attrarre un’aliquota fiscale inferiore, offrendo così un prezzo inferiore ai trasformatori e, in ultima analisi, al consumatore”. Un meccanismo che ricorda quello della ‘plastic tax’ italiana, introdotta con la legge di bilancio del 2020 per i prodotti monouso, ma avversata dall’industria di settore tanto da essere stata fin qui rinviata per ben cinque volte. Il termine per l’entrata in vigore oggi è fissato al 1 gennaio del 2024, ma la sesta proroga è già dietro l’angolo.

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