Dalla raccolta alle autorizzazioni: i nodi che ostacolano il riciclo delle materie prime critiche dai raee

di Luigi Palumbo 12/09/2023

L’Ue punta anche sul riciclo dei rifiuti tecnologici per mettere in sicurezza gli approvvigionamenti di materie prime critiche. Senza sciogliere i nodi della raccolta, delle autorizzazioni e dei finanziamenti, avvertono però le imprese italiane del waste management, gli ambiziosi obiettivi allo studio delle istituzioni europee sono destinati a rimanere sulla carta


Pur accogliendo con favore la volontà manifestata dall’Ue di attribuire al riciclo dei rifiuti tecnologici un ruolo strategico nella messa in sicurezza degli approvvigionamenti di materie prime critiche, le imprese del waste management italiano avvertono: senza prima creare le condizioni per la realizzazione di una adeguata rete di impianti, gli ambiziosi obiettivi allo studio delle istituzioni comunitarie sono destinati a restare sulla carta. Gli sforzi per raggiungere i target del nuovo regolamento sulle CRM in discussione in Ue – la Commissione propone il 15% di riciclo complessivo entro il 2030, che gli Stati membri vorrebbero portare al 20% mentre gli europarlamentari chiedono di trasformarlo in un target del 10% da calcolare per ogni singola Materia Prima Critica Strategica – rischiano infatti di infrangersi contro le barriere che fin qui hanno impedito al mondo del recupero di materia dai rifiuti elettrici ed elettronici, i raee, di sviluppare appieno il proprio potenziale in termini di riciclo avanzato. L’industria nazionale gestisce oggi infatti oltre 500mila tonnellate di raee, limitandosi però a un primo trattamento finalizzato quasi esclusivamente al recupero di metalli come ferro, rame e alluminio mentre per materie prime critiche come litio, cobalto, indio, gallio, e ‘terre rare’, più difficili da estrarre, i tassi di riciclo restano di gran lunga al di sotto del 10%.

In cima alla lista dei nodi da sciogliere c’è quello dei tassi di raccolta. Per estrarre le materie prime critiche contenute in piccole quantità nei singoli accumulatori, semiconduttori o schermi piatti servono processi industriali particolarmente costosi – come l’idrometallurgia o la pirometallurgia. Per metterli a profitto gli impianti hanno bisogno di trattare enormi volumi di rifiuti, ma i tassi di raccolta oggi non garantiscono il raggiungimento delle economie di scala necessarie a recuperare gli investimenti. A partire dal 2019 avremmo dovuto raccogliere il 65% in peso delle apparecchiature immesse sul mercato nel triennio precedente, ma siamo fermi al 34%, terzultimi in Ue, che con una media del 46% resta comunque quasi tutta lontana dal target, come riporta un’analisi pubblicata oggi da Ref Ricerche. “Gli sforzi dovrebbero essere quelli di aumentare la raccolta, per consentire agli imprenditori di costruire impianti di secondo trattamento, ovvero raffinerie capaci di captare le materie prime critiche”, ha spiegato il presidente di Assoraee Giuseppe Piardi, ascoltato nei giorni scorsi dalla commissione industria del Senato. “Bisogna che il legislatore preveda, e magari incentivi, nuovi sistemi di raccolta” ha aggiunto il presidente di IREN Luca Dal Fabbro. Serve “una maggiore capillarità del servizio e campagne informative, focalizzate in particolare sui piccoli dispositivi (ma ricchi di materiali preziosi – es cellulari, tablet) che ad oggi sono ancora in gran parte dispersi e per i quali sono lontani gli obiettivi Eu”, si legge in una nota della multiutility.

Immancabile, poi, il tema delle lungaggini burocratiche, che in Italia continuano a rappresentare un vero e proprio disincentivo all’investimento in tecnologie avanzate di recupero. “Abbiamo a Volpiano, in Piemonte, un impianto che smantella schermi led e recupera materiali come oro, rame o platino – ha spiegato Dal Fabbro – per autorizzarlo ci sono voluti tre anni. Vorremmo realizzarne degli altri, ma aspettare tre anni significa perdere terreno rispetto a paesi come Austria o Francia dove le stesse autorizzazioni si possono ottenere in sei mesi o un anno”. Proprio per impedire che la farraginosità delle procedure si traduca in uno squilibrio competitivo tra Stati membri, nella proposta della Commissione si chiarisce che il rilascio delle autorizzazioni per progetti strategici di riciclo non dovrà superare i 12 mesi. Una previsione alla quale, secondo il direttore generale di Assoambiente Elisabetta Perrotta, occorrerebbe affiancare la garanzia “che le autorità nazionali possano richiedere tutte le informazioni aggiuntive per l’elaborazione di una domanda in una sola volta”. In più, servirebbe snellire il meccanismo per l’attribuzione della qualifica di end of waste ai materiali recuperati dal trattamento avanzato, “un altro aspetto che blocca gli investimenti”, chiarisce Dal Fabbro, che secondo Assoambiente andrebbe affrontato anche prevedendo per gli impianti industriali autorizzati in AIA “la possibilità di mettere su mercato il metallo o la sostanza generata ad esito del ciclo del recupero, quale End of Waste (EoW)”.

Ultima ma non ultima tra le incognite da risolvere, c’è poi quella dei canali di finanziamento. Stando a uno studio di Ambrosetti per Iren, per raggiungere il target proposto dalla Commissione del 15% del fabbisogno di materie prime critiche strategiche soddisfatto dal riciclo entro il 2030 occorrerà realizzare almeno sette impianti con una capacità di trattamento di 105mila tonnellate annu,e per un investimento complessivo da 336 milioni di euro. A fronte degli ambiziosi obiettivi di riciclo in discussione in Ue, tuttavia, non è ancora chiaro se e quali strumenti il mondo produttivo avrà a disposizione per colmare il gap di investimenti necessario a raggiungerli. Sia sostenendo la ricerca – proprio oggi il Ministero dell’Ambiente ha destinato un milione e mezzo di euro circa a sei progetti universitari nell’ambito del bando raee 2021 – che supportando economicamente la traduzione su scala industriale dei progetti innovativi. “Nell’ambito della linea PNRR per il recupero dei raee erano stati stanziati 150 milioni di euro, ma le richieste hanno superato il mezzo miliardo. Significa che l’industria italiana c’è, è capace di proporre progetti – ha sottolineato Dal Fabbro – se si chiarisce il quadro regolatorio su end of waste e procedure autorizzative, se si imposta un sistema di raccolta più efficiente e se utilizziamo fondi aggiuntivi, penso che l’Italia possa arrivare a conquistare una posizione di forza in Europa”.

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