Economia circolare: per il 65% delle PMI è già realtà, ma la burocrazia frena la transizione

di Redazione Ricicla.tv 10/05/2024

Stando a un’indagine di Circular Economy Network e CNA, più della metà delle PMI ha già adottato strategie di economia circolare, rilevando benefici economici oltre che ambientali. Due aziende su tre, tuttavia, continuano a denunciare l’eccessivo peso burocratico e l’insufficienza di incentivi e agevolazioni


Le piccole e medie imprese italiane, asse portante dell’economia nazionale, possono diventare anche motore della conversione circolare del sistema produttivo. “Nella manifattura italiana sono attive 366mila imprese – spiega Marco Baldi, responsabile area studi di CNA – il 97% ha meno di 50 addetti e quelle con meno di 10 sono l’81%. Ciò significa che se queste imprese non partecipano alla transizione ecologica, questa semplicemente non ci sarà“. E il rischio c’è, visto che nella meccanica della transizione, la burocrazia continua a fare la parte del freno. È quanto emerge da un’indagine realizzata dal Circular Economy Network in collaborazione con CNA, condotta su 800 piccoli imprenditori dei servizi, della manifattura e delle costruzioni, il 65% dei quali ha dichiarato di mettere già in atto pratiche di economia circolare, oltre il doppio rispetto a quanto rilevato nel 2021.

Gli interventi realizzati più spesso, rileva l’indagine, riguardano l’uso di materiali riciclati (68,2%), la riduzione degli imballaggi (64%), interventi per la durabilità e la riparabilità del prodotto (53,2%). Se il 70,4% del campione indica nella maggiore sostenibilità ambientale il principale vantaggio derivante dall’adozione di pratiche di circolarità, per il 61% delle imprese coinvolte nel sondaggio le misure di economia circolare generano anche benefici in termini di riduzione dei costi. In una fase che vede inflazione e spesa energetica erodere i margini di guadagno delle imprese, per oltre la metà delle PMI, insomma, la circolarità sta diventando anche sinonimo di competitività. “Una strategia win win, per l’ambiente e le imprese”, dice Roberto Tatò, dirigente del Ministero delle Imprese e del Made in Italy.

Il problema, però, è se poco più di un’impresa su due ha già calato la circolarità nel proprio modello di business, sono due su tre quelle per le quali la complessità burocratica resta eccessiva: il 67,5% del campione. “La burocrazia resta un ostacolo sentito con molta forza dai nostri imprenditori – chiarisce Barbara Gatto, responsabile green economy della CNA – ed è una burocrazia figlia soprattutto della complessità normativa. Norme ambientali giustamente stringenti ma che a volte, non tenendo conto della praticabilità delle regole, diventano ostacolo alla stessa tutela dell’ambiente”. Paradigmatico il caso dei sottoprodotti, regime che dovrebbe consentire alle imprese di non classificare come rifiuto i propri scarti di produzione, facilitandone l’avvio a recupero nel rispetto di specifici parametri. Proprio per la complessità dei parametri, tuttavia, lo strumento resta poco utilizzato. “Una manutenzione della normativa ambientale potrebbe aiutare”, spiega Gatto. “Come governo, insieme agli altri Stati membri, sottoporremo alla prossima Commissione europea una serie di istanze che possano consentire alle imprese di muoversi più liberamente”, garantisce Tatò.

Altro ostacolo segnalato dalle imprese l’assenza di incentivi o agevolazioni, che rileva per il 66,5% del campione indagato, seguita dalla necessità di investimenti troppo gravosi (57%). “Sicuramente i 6 miliardi di euro stanziati per finanziare il nuovo piano transizione 5.0 sono un’opportunità importante – chiarisce – ma credo che per essere più incisivi dovremmo ragionare su interventi più mirati, come l’introduzione di leve fiscali”. “Anche gli appalti verdi possono essere uno strumento essenziale – dice Tatò – stiamo lavorando per garantirne l’applicazione obbligatoria alle gare pubbliche”.

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