Pneumatici fuori uso: un sistema da riformare

di Luigi Palumbo 19/05/2016

Che gli pneumatici fuori uso non siano semplici rifiuti da smaltire, ma materia preziosissima da recuperare e reindirizzare agli più svariati utilizzi, lo dimostrano quotidianamente le molteplici applicazioni del cosiddetto granulato da pfu, che si ottiene dalla triturazione dei copertoni a fine vita e che può essere utilizzato per il fondo dei campi da calcio, per le pavimentazioni delle aree gioco, o in miscele per l’insonorizzazione stradale. Senza dimenticare che quanto non può essere riciclato può invece essere utilizzato per produrre un combustibile secondario capace di sostituire appieno il carbon fossile nei cementifici. Per avviarli a nuovo utilizzo, però, i pfu bisogna prima recuperarli, e quindi raccoglierli presso gommisti e ditte di autoricambi.

Per finanziare le operazioni di recupero, i consorzi dei produttori e degli importatori – che dal 2011 sono obbligati a raccogliere gratuitamente ogni anno il 90% in peso del loro immesso a consumo – incamerano un eco-contributo sul prezzo di vendita di ogni singolo pneumatico. Vendite a nero e importazioni illegali di pneumatici rischiano peró di mettere a repentaglio la tenuta dell’intero sistema di recupero dei pfu, con pesanti ripercussioni sul fronte economico e su quello ambientale. Vendere uno pneumatico senza scontrino o fattura significa infatti evadere sia il contributo pfu che l’Iva.

Stesso discorso vale per gli stock di copertoni importati illegalmente – soprattutto dal nord Europa – che non essendo dichiarati, oltre ad evadere imposta e contributo sfuggono anche al conteggio ai fini della determinazione delle quantità da recuperare. «Il circuito illegale coinvolge soprattutto i ricambi per le due ruote, quindi moto e ciclomotori, e le automobili – spiega Giovanni Corbetta, direttore generale di Ecopneus, principale consorzio italiano per il recupero dei pfu – secondo le stime, su 30 milioni di pneumatici venduti ogni anno in Italia, il “nero” può arrivare anche al 20%: sei milioni di pneumatici che circolano nel Paese come fantasmi evadendo conteggio ed eco-contributo.

Una quantità spaventosa, che i consorzi sono quotidianamente chiamati a recuperare sebbene esuli dalle quote di loro responsabilità, stabilite sulla base dell’immesso a consumo legale. A conti fatti quindi, a causa del “nero” e dell’import illegale i consorzi incamerano minori introiti a fronte di maggiori quantità da raccogliere sul territorio nazionale. «Un danno erariale ed ambientale» commenta amaro Corbetta. E così, dopo aver chiuso il 2015 dichiarando una raccolta di pfu complessivamente superiore di oltre 15mila tonnellate al target di legge, proprio perchè, spiega Ecopneus, gonfiata dalla extraraccolta di pneumatici “a nero” e cioè non registrati e non coperti dall’eco-contributo, il consorzio ha scelto per il 2016 di contingentare su base mensile i propri obiettivi. Ciò significa che il quantitativo di pfu da raccogliere per legge in un anno viene spalmato dal consorzio sulle dodici mensilità e che, una volta raggiunto il target mensile, la raccolta gratuita viene interrotta. «Negli ultimi due anni abbiamo coperto l’extraraccolta con i nostri fondi – prosegue Corbetta – chiudendo in perdita entrambi gli esercizi. Bene da un punto di vista ambientale, perchè sono state raccolte e trattate quantità maggiori. Male per il consorzio, che al terzo anno consecutivo di perdite rischierebbe il fallimento, visto che i nostri fondi bastano solo a gestire le quantità legalmente immesse sul mercato».

Una soluzione drastica, quella di “centellinare” la raccolta, che tuttavia non risolve il problema, e che anzi rischia di aggravarlo. Perchè sebbene venduti o importati a nero, gli pneumatici esistono e, una volta giunti a fine vita, vanno gestiti correttamente. E se nessuno lo fa, gommisti e negozi di autoricambi presso i quali si accumulano i pfu non ritirati rischiano di vedersi contestati i reati di “deposito incontrollato” o di “abbandono” di rifiuti, sanzionati non solo economicamente con multe da 2mila a 26mila euro, ma anche penalmente con la reclusione da tre mesi a due anni. Senza dimenticare che la sospensione del servizio gratuito di raccolta garantito (almeno in teoria, a questo punto) dai consorzi costringe le imprese a sobbarcarsi i costi di gestione dei pfu, esponendole alle lusinghe di chi, promettendo prezzi competitivi, potrebbe prenderli in carico e disporne senza particolari riguardi per l’ambiente.

«Abbiamo sollecitato più volte il Ministero dell’Ambiente ad intervenire – spiega Antonella Grasso, responsabile della Cna Autoriparatori – il nostro invito è a fare presto. Se c’è un problema di “nero”, allora bisogna sedersi al tavolo e trovare la soluzione sul piano istituzionale. I consorzi operano entro i limiti di un mandato che deriva da una disposizione normativa e quindi non possono scegliere di agire arbitrariamente. Le soluzioni, ripeto, vanno trovate sul piano istituzionale».

Un invito, quello della Cna, a rivedere il quadro normativo dell’intero sistema di gestione dei pfu. E forse è proprio giunta l’ora di una riforma, visto che il sistema, oltre che da vendite a nero e importazioni illegali, è affetto da un più generale problema di trasparenza: sono diversi infatti i produttori e distributori che continuano a non applicare l’eco-contributo sui loro pneumatici, così come non sono pochi i soggetti che pur non essendo iscritti ai consorzi non hanno presentato domanda di gestione diretta del loro immesso a consumo, o quelli che ne garantiscono la gestione solo su base locale e non, come vorrebbe la legge, in maniera diffusa su tutto il territorio nazionale.

Anomalie che, lo scorso dicembre, avevano spinto il presidente della Commissione ambiente alla Camera Ermete Realacci a presentare una interrogazione al Ministero dell’Ambiente con una serie di proposte per rivedere la normativa di settore, a partire dall’istituzione di un registro nazionale dei produttori “in modo che il mercato diventi trasparente e si autoregoli – scriveva Realacci – e che i consumatori possano contattare e scegliere tra i vari soggetti obbligati alla raccolta e verificare l’entità dell’eco-contributo nonché l’effettiva attività svolta”, ribadendo al tempo stesso l’obbligo di raccolta pfu a livello nazionale o almeno in tutte le regioni in cui vengono venduti pneumatici ai propri clienti, “così evitando che a fronte di contributo identico a quello dei consorzi nazionali alcuni operatori raccolgano soltanto in zone limitrofe alla sede, a discapito di chi deve effettivamente coprire il territorio”.

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