Morte Attanasio, l’altra faccia dello sviluppo (compreso quello sostenibile)

di Luigi Palumbo 23/02/2021

C’è una triste coincidenza, che si accompagna all’uccisione dell’Ambasciatore italiano in Congo Luca Attanasio, del suo Carabiniere di scorta, Vittorio Iacovacci e del loro autista, colpiti a morte in un agguato nei pressi della cittadina di Kanyamahoro, nella regione del Nord Kivu. Proprio mentre in Italia giungeva la notizia dell’aggressione armata, sulle cui dinamiche si cerca ancora di fare chiarezza, l’Unione Europea teneva infatti a battesimo la Global Alliance on Circular Economy and Resource Efficiency (Gacere), lo strumento istituito dalla Commissione europea e dal Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (Unep), in coordinamento con l’Organizzazione delle Nazioni Unite per lo sviluppo industriale (Unido), nato con lo scopo di mettere a sistema gli sforzi dispiegati a livello internazionale nel campo della gestione sostenibile ed efficiente delle risorse naturali. Risorse naturali, come quelle che fanno dell’Africa la miniera del pianeta e del Congo, in particolare, lo stato più ricco di giacimenti dell’intero continente.

Un’immensa riserva di materie strategiche come oro, manganite, cassiterite. Ma anche di cobalto, elemento chiave nelle batterie che alimentano i veicoli elettrici, e di coltan, prezioso per la produzione di pannelli fotovoltaici, entrambi al centro negli ultimi anni di un autentico boom, spinto anche dai maggiori investimenti in rinnovabili e mobilità alternativa. A un prezzo salatissimo. Perché l’altra faccia dello sviluppo, anche di quello sostenibile, è una storia fatta di povertà, sangue e sfruttamento. Il cobalto ad esempio finisce tutto nelle mani della Cina, mentre il coltan, che abbonda proprio nella regione del Nord Kivu, è da sempre oggetto del contendere di bande armate che ne gestiscono il traffico al confine con il Ruanda, contrattando con gli intermediari delle multinazionali straniere e macchiandosi di crimini e violenze. Non è escluso che a far fuoco, nell’attentato all’ambasciatore italiano, siano stati proprio i membri di una di quelle milizie che regolano col terrore il business multimiliardario delle estrazioni, figlie di un disastro geopolitico che conviene a tutti – politici, miliziani e lobby internazionali – meno che alla popolazione congolese, una delle più povere al mondo, al 176esimo posto per indice di sviluppo.

E non è un caso che proprio il Ruanda figuri tra i primi Paesi ad aver aderito all’Alleanza Globale promossa dall’Ue con l’obiettivo, scrive la Commissione Europea di «portare avanti il dibattito sulla definizione di uno “spazio operativo sicuro” per far sì che l’uso delle diverse risorse naturali non superi determinate soglie a livello locale, regionale o globale e che l’impatto ambientale rimanga entro limiti che il nostro pianeta può sostenere». Cosa che per l’Ue – che stando a un report dell’Unep importa circa il 91% dei minerali e dei metalli necessaria alla propria economia – significherà spingere su strategie sempre più efficienti per recuperare risorse preziose dai rifiuti, soprattutto da quelli tecnologici, e ridurre la dipendenza dalle importazioni, quindi dalle estrazioni in natura. Ma anche premere per l’adozione di un quadro regolatorio internazionale che tenga conto dei risvolti sociali, economici e ambientali delle attività estrattive. Ad esempio, ipotizzava l’Unep, con l’istituzione di una Sustainable Development Licence to Operate (SDLO) il cui utilizzo dovrebbe «essere reso operativo in un’ampia gamma di ambiti politici, da attori pubblici e privati» contemplando «la totalità delle catene del valore dei minerali: concessione di licenze di terreni minerali, cartografia geologica, esplorazione, sviluppo, estrazione mineraria, lavorazione e raffinazione, trasporto, produzione di prodotti per uso finale, fino al riciclaggio e alla chiusura delle miniere». Nuovi strumenti per proseguire nel lungo e complicato percorso verso la pacificazione, seguendo il solco tracciato con fatica dagli operatori della cooperazione internazionale e della diplomazia. Da quanti, come Attanasio, lavorano quotidianamente per ricucire le ferite che tormentano quel pezzo di Africa così lontano eppure così vicino.

 

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