Rifiuti urbani, meno discarica e più riciclo. Ma è boom delle esportazioni

di Redazione Ricicla.tv 21/12/2023

Secondo l’ultimo rapporto ISPRA nel 2022 il riciclo dei rifiuti urbani è cresciuto, mentre sono diminuite le quantità smaltite in discarica. Per centrare gli obiettivi europei al 2035, tuttavia, serve “una accelerazione del sistema di gestione”. Anche perché, nel frattempo, sono aumentate di un terzo le esportazioni. Soprattutto verso gli inceneritori degli altri


Nel 2022 è cresciuto il riciclo dei rifiuti urbani, mentre sono calati sia la produzione che lo smaltimento in discarica. Il confronto con il 2021, tuttavia, fa registrare differenze di poco superiori al punto percentuale, che sulla strada verso gli ambiziosi obiettivi europei di circolarità rendono necessario “imprimere una accelerazione nel miglioramento del sistema di gestione, soprattutto in alcune zone del Paese”. Anche perché nel frattempo le esportazioni verso altre nazioni sono aumentate di oltre un terzo. In cerca, prevalentemente, di inceneritori. È la fotografia scattata dall’ultimo rapporto ISPRA con i dati sui rifiuti urbani generati, raccolti e avviati a trattamento. Con 29,1 milioni di tonnellate la produzione fa segnare un calo dell’1,8%, in linea con il trend di lungo periodo. Segno meno in tutte le macroaree, con decrementi più marcati al nord (-2,2%), mentre a livello nazionale cala anche la produzione pro capite, 494 kg in flessione dell’1,6%. Dati che, se comparati con quelli su prodotto interno lordo e spesa per consumi finali, cresciuti rispettivamente del 3,7% e del 6,1% sulla scorta della ripresa post pandemica, sembrano indicare che il paese è sulla strada giusta per sganciare la crescita economica dalla generazione di rifiuti. Che imprese e cittadini italiani sono pronti, cioè, a produrre e consumare meglio.

A fronte di una produzione di rifiuti in calo, cresce invece la raccolta differenziata, toccando il 65,2% con un aumento di 1,2 punti rispetto al 2021 e a fronte di quantità sostanzialmente invariate: 18,9 milioni di tonnellate (-0,1%), composti per il 38,3% da rifiuti organici, seguiti da carta e cartone (19,3%), vetro (12,3%) e plastica (9%). Se il bicchiere mezzo pieno è l’aumentare della differenziata in tutte le aree del paese – con distanze che si riducono tra nord (71,8%), centro (61,5%) e sud (57,5%) – quello mezzo vuoto è la forbice, troppo ampia, tra raccolta e riciclo. I rifiuti avviati a recupero di materia, spiega infatti ISPRA, rappresentano più del 50% ma il tasso effettivo di riciclo (e di riutilizzo) si ferma al 49,2%, con uno scarto di 16 punti rispetto alla differenziata anche per effetto del nuovo e più severo metodo di calcolo europeo. Un dato che, sebbene in crescita dell’1,1% sul 2021, resta lontano dagli obiettivi europei al 2025 (55%), 2030 (60%) e 2035 (65%). “La raccolta, pur rappresentando uno step di primaria importanza – chiarisce ISPRA – deve necessariamente garantire la produzione di flussi di alta qualità, e deve essere, in ogni caso, accompagnata dalla disponibilità di un adeguato sistema impiantistico di gestione”. Che invece, come vedremo, per alcune frazioni ancora manca. Bene il dato sul riciclo degli imballaggi, che nonostante il metodo di calcolo più severo resta al 71%, in leggera flessione al pari dell’immesso a consumo (-0,2%). Tutte le frazioni merceologiche hanno già ampiamente raggiunto i target specifici al 2025, “ad eccezione della plastica – scrive ISPRA – che comunque è prossima all’obiettivo (48,9% a fronte di un obiettivo del 50%)”.

Restando sul piano del confronto con gli obiettivi vincolanti dell’Ue, i numeri di ISPRA sottolineano la necessità di un cambio di passo anche sul fronte dello smaltimento in discarica. Perché se è vero che tra 2002 e 2022 i quantitativi conferiti sono crollati del 72,6%, toccando lo scorso anno il minimo storico del 17,6% (-1,4%), è anche vero che entro il 2035 l’Ue ci chiede di non smaltire più del 10% dei rifiuti prodotti. Di fatto, scrive ISPRA, nei prossimi dodici anni “lo smaltimento in discarica dovrà essere quasi dimezzato”. Riducendo la produzione e aumentando differenziata e riciclo, in linea con i trend emersi nel 2022, ma anche incrementando il ricorso all’incenerimento con recupero di energia, che invece lo scorso anno è risultato in flessione. Nel 2022, riporta infatti ISPRA, gli impianti operativi a livello nazionale hanno trattato 5,3 milioni di tonnellate di rifiuti urbani, in calo dell’1,9%, nonostante il Programma Nazionale di Gestione dei Rifiuti abbia stabilito che il recupero energetico deve essere preferito allo smaltimento in discarica per la gestione delle frazioni non riciclabili. E se a prima vista la flessione dei rifiuti inceneriti può sembrare tutto sommato una buona notizia, il dato assume una connotazione ben diversa se confrontato con quello sulle esportazioni all’estero. Che invece, rispetto al 2021, sono aumentate di un terzo circa, e che per oltre la metà hanno riguardato proprio frazioni avviate a recupero energetico.

Delle 858mila tonnellate inviate in altri Stati (l’anno precedente erano 659mila, mentre nel 2018 ‘appena’ 355mila), il 32,7% era infatti costituito da rifiuti prodotti dal trattamento meccanico dei rifiuti e il 28,6% da Combustibile Solido Secondario. Insomma, se a livello nazionale i rifiuti inceneriti calano non è perché non ce ne siano da incenerire, ma solo perché una bella fetta viene trasformata in energia o sostituita ai combustibili fossili negli impianti produttivi degli altri. Ma nel 2022 i rifiuti hanno viaggiato anche dentro i confini nazionali, spostandosi da una regione all’altra in cerca di spazio negli impianti di trattamento. Soprattutto l’organico da raccolta differenziata, per il quale si registrano ancora gap tra nord e centro-sud, con i maggiori quantitativi partiti dalla Campania (oltre 480 mila tonnellate, pari al 27,1% del totale), dal Lazio (circa 290 mila tonnellate, pari al 16,3% del totale) e dalla Toscana (circa 218 mila tonnellate, pari al 12,3% del totale), “aventi una capacità di trattamento non adeguata alla gestione dei propri rifiuti”. I viaggi dei rifiuti dentro e fuori dai confini nazionali, oltre a pesare sul bilancio ambientale del sistema di gestione pesano anche sulle tasche dei cittadini. Non a caso a fronte di una media di 192.3 euro per abitante, nel 2022 i costi di gestione maggiori sono stati registrati proprio nelle macroaree meno servite da impianti: al Centro il costo più elevato 228,3 euro, segue il Sud con 202,3 euro e infine il Nord con un costo pari a 170,3 euro per abitante.

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