Rifiuti, in Sicilia è emergenza: discariche piene e zero impianti

di Valentina Trifiletti 11/01/2018

“Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi” scriveva Giuseppe Tomasi di Lampedusa nel suo celebre Gattopardo. In Sicilia di cose ne sono cambiate negli ultimi anni, si sono susseguiti sindaci e governatori, ma il problema complesso e antico della gestione dei rifiuti sta ancora là, in attesa di essere risolto. Il neo governatore Nello Musumeci ha richiesto lo stato d’emergenza per una situazione che definisce “drammatica”. “C’è l’esistenza di una situazione difficilmente superabile e alquanto preoccupante” ha dichiarato solo qualche giorno fa il presidente.

Raccontare la lunga storia di ordinaria emergenza siciliana è un’impresa che richiederebbe almeno un paio d’ore rischiando di inciampare nella matassa di responsabilità e scarica barile tra politica e pubblica amministrazione. Il problema dello smaltimento dei rifiuti in regione affonda le sue radici nel secolo scorso. Ma cosa sta accadendo in Sicilia? A oggi i siciliani producono 5.000 tonnellate di pattume al giorno che va inevitabilmente smaltito. Il 90% di questi rifiuti finisce dritto in discarica e le discariche, si sa, non sono infinite. In Sicilia quelle operative sono 9 e sono praticamente giunte al collasso.

“L’emergenza delle emergenze – dichiara Musumeci – è rappresentata dalla discarica di Bellolampo, se nulla dovesse cambiare fra qualche settimana noi nella Sicilia occidentale avremmo dove portare i rifiuti. Nel resto dell’isola la situazione non è migliore. Abbiamo solo qualche mese di tempo ancora e le discariche arriveranno al collasso”.

Cosa serve, quindi, alla Sicilia per raggiungere l’autonomia e scongiurare la crisi? Sicuramente bisogna dotarsi di impianti che aiutino a smaltire i rifiuti in maniera definitiva ma l’esigenza più urgente è quella di mettersi al passo con le altre regioni sulla raccolta differenziata. “Su questo fronte – ha dichiarato il ministro dell’Ambiente Galletti qualche giorno fa – siamo ancora all’anno zero”. Lo stesso Musumeci aveva detto che la Regione fornì alla Corte dei Conti dati non veri. “Sulla differenziata – aveva ammesso il governatore – non siamo al 22% ma al 15%”. Servono a poco, quindi, gli sforzi di quei 100 e più comuni virtuosi che oltrepassano abbondantemente il 50%. Ci pensano le grandi città ad abbassare la media. Stando ai dati dell’ufficio speciale per il monitoraggio e l’incremento della differenziata, a settembre 2017 la città di Siracusa annaspava tra i rifiuti raggiungendo appena l’8,4% di differenziata seguita da Catania che aveva il 9,92%. La situazione migliora, si fa per dire, a Palermo e Messina con rispettivamente il 13 e 17%.

“Le regioni italiane – afferma Musumeci – non sono più nella condizione di assorbire rifiuti da parte di altre regioni italiane se non per pochi giorni e a noi servono per diversi mesi. Come portare i rifiuti all’estero? Quale rifiuti portare? Attraverso quali mezzi? Via mare o via terra? E l’onere dei costi?”.

Già, i costi. Il trasporto fuori regione di almeno 2,5 milioni di tonnellate di rifiuti costerebbe circa 120 milioni di euro. Questo, oltre a comportare un aumento della Tari rappresenterebbe un’occasione mancata per l’economia dell’isola. Promuovere la “cultura del riciclo”, infatti, vuol dire anche favorire la crescita economica del territorio come spiega Gaetano Rubino, presidente di Assopirec, l’associazione di categoria che riunisce le aziende che trattano i rifiuti riciclabili per avviarli a recupero. “Ogni passaggio – spiega Rubino – presuppone attività di tipo industriale, commerciale, di trasporto e trasferimento che alimentano un’economia. Da lì l’economia circolare tanto di moda. Noi esistiamo per gestire questi rifiuti, li vogliamo e possiamo garantire che se destinati a noi vanno a recupero e poi a riciclo”.

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *