Rifiuti in plastica, dimezzate le esportazioni dall’UE

di Luigi Palumbo 21/02/2023

Tra messe al bando e policy più stringenti, le spedizioni di rifiuti in plastica dall’UE verso paesi terzi si sono dimezzate rispetto al 2014, scrive l’European Environment Agency. Ma continuano a preoccupare i traffici illeciti e l’inadeguatezza dei sistemi di gestione nei paesi di destinazione

Crescono le movimentazioni di rifiuti in plastica tra paesi dell’UE, diminuiscono fino a dimezzarsi le esportazioni verso paesi terzi. Anche per effetto delle scelte di policy che dal 2018, data dell’entrata in vigore del bando cinese sulle importazioni, hanno visto moltiplicarsi limiti e restrizioni alle spedizioni verso paesi come Vietnam, Malaysia e Tailandia. Tutto questo però mentre emergono nuove rotte, come quella verso la Turchia, e continuano a preoccupare i traffici illeciti e l’assenza di adeguate infrastrutture di trattamento nei paesi di destinazione. È il quadro che emerge da uno studio dell’European Environment Agency, che a poche settimane dalla richiesta dell’europarlamento di proibire l’export di rifiuti in plastica verso i paesi non-OCSE, e arrivare nel giro di quattro anni a chiudere anche i canali diretti verso i Paesi OCSE, ha provato a tracciare i flussi degli scambi commerciali dentro e fuori dai confini dell’UE.

Tra 2014 e 2021, scrive l’EEA, i volumi di rifiuti in plastica commercializzati tra Stati membri all’interno dei confini dell’UE sono cresciuti per tutte le principali frazioni: i polimeri etilenici come il PET, vale a dire quelli a maggior valore aggiunto, sono ad esempio passati da poco più di 800mila a oltre 1,2 milioni di tonnellate rappresentando il 40% circa delle quantità scambiate, ma aumenti hanno riguardato anche le plastiche stireniche e viniliche. Flussi diretti a trattamenti diversi tra loro a seconda del paese di destinazione e della qualità dei polimeri commercializzati: se in Italia le 114mila tonnellate importate da altri paesi UE nel 2020 sono finite principalmente a riciclo, in Polonia la domanda di combustibili alternativi per i 13 cementifici nazionali ha alimentato la domanda di mercato per le frazioni a minor valore aggiunto, mentre l’Olanda, che nel 2020 è stata importatore netto per 240mila tonnellate, punta da un lato a garantire flussi costanti a una nascente industria nazionale del riciclo chimico e dall’altro, forte dei suoi porti, agisce da autentico hub del commercio di rifiuti plastici verso paesi non-OCSE come Malesia e Vietnam.

Il sospetto, scrive però l’EEA, è che snodi logistici come Rotterdam fungano anche da ‘lavanderia’ per i rifiuti plastici del Regno Unito, che negli ultimi anni diversi paesi del far-east si stanno rifiutando di ricevere a causa dell’alto tasso di frazioni estranee. Se le imprese UK ricorrono – probabilmente – all’espediente di mascherare da olandesi i propri scarti è anche perché gli storici paesi di sbocco per le plastiche che l’occidente non riesce a trattare stanno cambiando registro. “L’evoluzione del commercio di rifiuti di plastica extra-UE negli ultimi anni – scrive infatti l’EEA – è stata influenzata dal significative restrizioni e cambiamenti di policy”. Prima dalla messa al bando della Cina nel 2018, seguita nello stesso anno dallo stop dell’Indonesia (almeno sulla carta, si vedrà più avanti) e dalle misure adottate a cascata da altri paesi: anche l’India nel 2019 ha interrotto le importazioni, mentre dal 2021 la Tailandia ha avviato una politica di progressiva riduzione del 20% l’anno fino al 2026. Malesia e Vietnam, a loro volta, hanno imposto regole più stringenti per i riciclatori locali.

In più, le recenti modifiche alla Convenzione di Basilea, in forza nell’UE da gennaio 2021, hanno definitivamente messo al bando le esportazioni verso paesi non-OCSE di plastiche pericolose o difficili da riciclare, mentre le movimentazioni dirette verso paesi OCSE sono soggette a una nuova e più complessa procedura di notifica. Tant’è che il confronto tra gennaio 2014 e lo stesso mese del 2022 mostra un valore economico degli scambi fuori dall’UE praticamente dimezzato, passato da 80 a meno di 40 milioni di euro, a fronte di una contrazione nelle quantità movimentate da circa 230mila ad appena 100mila tonnellate.

Parlare di una svolta sarebbe però decisamente prematuro. “Molti paesi chiave di destinazione al di fuori dell’UE – chiarisce infatti EEA – continuano a non essere dotati di infrastrutture adeguate per la gestione dei rifiuti” e le maglie dei controlli sulle spedizioni sono tutt’altro che serrate. Significativo il caso dell’Indonesia, dove sebbene le importazioni di rifiuti plastici siano formalmente vietate dal 2018 (come in Cina), nel confronto con il 2022 le quantità importate risultano paradossalmente raddoppiate. Segno che le limitazioni alle importazioni non vengono fatte rispettare dalle autorità locali o vengono aggirate dalle imprese. Come accade in Malesia, dove secondo EEA molti riciclatori cinesi hanno ricollocato le proprie attività dopo il bando del 2018 e dove “a causa della natura illegale di alcuni riciclatori, è altamente probabile che alcuni dei rifiuti di plastica provenienti dall’UE non incontrino gli standard di riciclabilità e finiscano quindi per essere smaltiti in discarica o bruciati”. Anche in Vietnam importazioni illegali ed evasione fiscale “rimangono un’importante sfida” ricorda EEA, così come in India, dove dopo la messa al bando delle importazioni del 2019 (parzialmente revocata l’anno successivo) “alcuni container inviati dagli Stati Uniti, che dovevano contenere rifiuti in carta e che invece erano pieni di plastica mista e rifiuti pericolosi, sono riusciti ad entrare nel paese nonostante fossero già stati rifiutati da altri paesi asiatici”.

Le crescenti restrizioni alle spedizioni per il far-east, e in generale per i paesi non-OCSE, hanno visto emergere un nuovo canale commerciale, quello verso la Turchia, che dopo lo stop della Cina ha registrato un autentico boom delle importazioni, passate da meno di 100mila tonnellate nel 2011 a 700mila nel 2021. Anche per effetto delle nuove restrizioni alle spedizioni verso paesi non-OCSE disposte dalla convenzione di Basilea sulle plastiche pericolose o non riciclabili. “Trattare rifiuti di plastica problematici all’interno dell’UE, al momento, comporta per le aziende costi più elevati rispetto alla loro spedizione in Turchia”, ricorda il report.

A far crescere il canale turco, però, non è solo l’offerta di scarti ‘problematici’ da parte dei paesi UE, ma anche la domanda dell’industria del riciclo locale, che dipende di fatto dalle importazioni a causa della scarsa qualità della rete nazionale di raccolta e selezione dei rifiuti. La Turchia è infatti tra i paesi OCSE uno di quelli con il minor tasso di riciclo e recupero: la sua industria, che conta 751 impianti autorizzati, tratta appena il 6% dei rifiuti in plastica generati a livello domestico. Il problema è che “insieme all’aumento delle importazioni – chiarisce però EEA – la Turchia ha visto anche un aumento delle attività criminali. Fenomeni legati all’importazione illegale di plastiche pericolose o non riciclabili, nonché alla combustione e allo scarico illegale di tali materie rifiuti sono stati segnalati più volte”. Per questo nel 2021 il governo di Ankara era corso ai ripari disponendo lo stop, da luglio di quell’anno, alle importazioni di tutti i rifiuti in polietilene, “durato solo poche settimane – si legge nello studio – prima di essere abrogato a seguito delle pressioni dell’industria del riciclo”.

L’analisi dell’EEA fornirà nuovi elementi per il negoziato sulla revisione del regolamento europeo sulle spedizioni di rifiuti. Nell’attesa di conoscere la posizione del Consiglio, l’europarlamento ha approvato il giro di vite proposto dalla Commissione UE chiedendo però in più lo stop all’export di rifiuti in plastica verso i Paesi non-OCSE e un ‘phase out’ nel giro di quattro anni anche per le esportazioni verso i Paesi OCSE. Il commissario UE all’ambiente Virginius Sinkevicius si è però detto scettico rispetto alla possibilità di una messa al bando totale che, aveva sottolineato “può essere disposta solo se non esistono misure alternative per raggiungere gli stessi obiettivi”. Per l’associazione europea delle imprese del waste management FEAD le nuove misure della Convenzione di Basilea in vigore dal 2021 “hanno già portato a un calo effettivo delle esportazioni” mentre per contrastare i traffici illegali, scrive l’associazione in una nota, non servono bandi o ulteriori fardelli amministrativi ma “rafforzare i controlli e le misure di esecuzione”. Anche per l’EEA “un mercato europeo del riciclo ben funzionante, insieme a adeguate misure di prevenzione dei rifiuti, può dimostrarsi più efficace nel ridurre l’esportazione di rifiuti di plastica dall’UE rispetto alle sole restrizioni commerciali, che sono sempre difficili da monitorare e far rispettare”.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *