Così una startup vicentina trasforma i rifiuti della fast fashion in packaging sostenibile

di Rosanna Auriemma 23/02/2022

Da scarti tessili a idee creative di imballaggio, espositori, appendiabiti, persino pannelli per interni con proprietà fonoassorbenti: sono queste le infinite strade del riciclo percorse dalla giovane startup Nazena. Fontana: “L’obiettivo è ritardare la trasformazione in rifiuto per ridurre gli sprechi e preservare le risorse vergini del nostro Paese”

Da lontano sembrano semplici colline, ma più ci si avvicina e più appare chiara, e drammatica, la loro vera natura. Circa 39mila tonnellate di maglioni, jeans, t-shirt provenienti dai mercati occidentali hanno preso il posto delle dune di sabbia rossa del deserto di Atacama, a Nord del Cile. È questa la peggiore conseguenza della cosiddetta fast-fashion, una moda che passa in fretta, fatta di capi di scarsa qualità che una volta giunti a fine vita sono destinati, nella migliore delle ipotesi, alla discarica o agli inceneritori. Nella peggiore, invece, finiscono nei canali del traffico internazionale di rifiuti e da lì in posti come il cimitero della moda nel cuore del deserto cileno. Rivoluzionare il mondo della moda in chiave sostenibile però si può, ed è il sogno di Nazena, una giovane startup vicentina, che ha brevettato uno speciale processo in grado di trasformare gli scarti tessili in nuove risorse, in linea con le 3 ‘R’ dell’economia circolare: riduzione, riuso, riciclo.

“Nazena è una startup che ha l’obiettivo di rendere sostenibile il settore della moda. L’idea – spiega Michela Fontana di Nazena – nasce da Giulia De Rossi, da sempre appassionata ai temi dell’ecologia e dell’economia circolare, che nel 2019 ha avviato il suo brand sostenibile che si occupa di ritirare gli scarti tessili industriali dalle aziende e quelli post-consumo dalle cooperative, per trasformarli in un nuovo prodotto in un’ottica di upcycling“. La folgorazione è arrivata a migliaia di chilometri dall’Italia. “Durante un viaggio in Giappone- racconta Michela – Giulia ha preso la sua decisione, chiedendosi ‘perché no?’, che è il significato della parola giapponese ‘nazena’. Da lì il nome della startup”.

Grazie a un processo brevettato, dalla lavorazione degli scarti tessili Nazena riesce a ottenere un materiale resistente e in grado di assumere diverse forme in base all’utilizzo finale. “I tessuti scartati vengono sottoposti a un processo di trattamento brevettato, dal quale si ottiene un materiale a sua volta brevettato – chiarisce Michela Fontana – il processo prevede la selezione e suddivisione dei capi in base alla colorazione e alla loro composizione. Dopodiché, gli scarti passano attraverso una sfilacciatrice così da ottenere una fibra che viene sottoposta a una successiva lavorazione con collanti naturali e vegetali. In questo modo si ottiene un materiale sia resistente che flessibile, che ci consente di realizzare diversi tipi di prodotto”. E così, anche i capi ormai dismessi, destinati allo smaltimento, possono diventare nuovi prodotti: appendiabiti, espositori, idee creative di packaging, oggetti di design, wine-box, persino pannelli per interni con proprietà fonoassorbenti.

E anche se l’idea alla base di Nazena è nata in Giappone, le radici dell’iniziativa sono saldamente piantate in uno dei principali distretti tessili italiani. “Abbiamo iniziato a collaborare con aziende locali, anche perché la sede della startup, Vicenza, ha un’industria tessile molto sviluppata. Il progetto, però, è scalabile sia a livello nazionale che internazionale”. Il ciclo dell’economia circolare parte così dalle aziende e cooperative di Vicenza dove avvengono le prime fasi di raccolta degli scarti tessili industriali e post-consumo, e termina in quelle stesse aziende a cui Nazena restituisce il rifiuto in una veste completamente rinnovata. “La nostra è una soluzione molto vantaggiosa per le aziende stesse che, spesso, non sanno cosa fare di questi scarti. Con noi progettano invece un prodotto che possono rivendere o che, comunque, avrebbero dovuto acquistare, come nel caso di appendiabiti o imballaggi” aggiunge Michela Fontana.

Un ciclo del riciclo, quello messo a punto da Nazena, che non finisce mai, visto che anche gli oggetti realizzati con fibre tessili riciclate, come le wine-box, una volta giunti a fine vita possono diventare a loro volta nuovi prodotti, come ad esempio un porta lampada. In questo modo, la startup riesce non solo a dare una nuova opportunità agli scarti, ma anche ad allungare la vita di beni destinati a un ciclo di utilizzo molto breve, come tipicamente accade agli imballaggi. “L’obiettivo è ritardare la trasformazione in rifiuto, creando così prodotti da reimmettere sul mercato. Una volta giunti a fine vita, con Nazena potranno essere nuovamente rigenerati in modo da ridurre gli sprechi e preservare le risorse vergini del nostro pianeta” chiude Fontana.

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