Fanghi da depurazione in agricoltura: polemica politica e caos normativo

di Valentina Trifiletti 18/10/2018

E’ scoppiato un caos normativo e mediatico intorno all’utilizzo dei fanghi da depurazione in agricoltura.

Tutto ha inizio con il decreto n. 109, in un primo momento ribattezzato dalla stampa “decreto Genova”, in seguito chiamato in modo più appropriato “decreto urgenze” dato che all’interno vi sono sì disposizioni per il sostegno e la ripresa economica del Comune di Genova, ma anche dei comuni colpiti dal terremoto nel 2016 e 2017. O ancora, articoli per la messa in sicurezza degli edifici scolastici, o misure urgenti in favore dei soggetti beneficiari di mutui agevolati.

L’articolo 41 del decreto urgenze si occupa di una questione spinosa: l’uso dei fanghi da depurazione in agricoltura. Nello specifico, il legislatore sostiene che in attesa di “una revisione organica della normativa di settore”,  continueranno a valere gli attuali valori di concentrazione di metalli pesanti nei fanghi da depurazione destinati all’agricoltura, “fatta eccezione per gli idrocarburi (C10-C40), per i quali il limite è di 1.000 (mg/kg tal quale)”.

Solo pochi giorni fa l’esplosione mediatica con un articolo su Repubblica dal titolo “Quel codicillo nel decreto Genova che mina la salute dei campi”  nel quale si accoglieva la denuncia di Angelo Bonelli dei Verdi: “E’ un’autorizzazione a spargere un milione di tonnellate di fanghi carichi di idrocarburi e metalli pesanti sui suoli agricoli. Un regalo alle imprese che trattano le acque reflue di depurazione sia civili che industriali e che in regioni come la Lombardia e il Veneto hanno accumulato scorte che non riescono a smaltire. La Lombardia aveva già provato a fissare un limite ancora più alto, ma il Tar ha bocciato la norma”.

Da qui ha avuto inizio la battaglia politica con al centro un rifiuto che non possiamo fare a meno di produrre. Il ministro Toninelli risponde piccato attraverso il suo profilo facebook con un post dal titolo “Il veleno di Repubblica” nel quale specifica che “l’articolo del decreto serve per giungere a una soluzione in emergenza, appunto, e non definitiva”. La stessa cosa fa il ministro dell’Ambiente Sergio Costa.Nessun codicillo nascosto o occultato. Mai ce ne saranno finché sarò Ministro dell’Ambiente”, scrive sui social Costa.

Il problema – spiega Damiano Di Simine, coordinatore del comitato scientifico della Lombardia – è che noi abbiamo un decreto ministeriale per la caratterizzazione dei fanghi da depurazione (d.lgs 99/92 ndr) che è molto datato, risale al 1992. Ancora oggi un fango viene caratterizzato come idoneo all’uso agricolo se risponde a quei requisiti che però oggi sono da superare“.

Per capire meglio la questione però è necessario fare un salto indietro di un anno, quando una sentenza della Cassazione ha affermato che la normativa di riferimento, la legge 99/1992, non è sufficiente a disciplinare i fanghi da depurazione e va integrata dal decreto legislativo 152/2006. In questa fase si colloca una delibera della giunta regionale della Lombardia secondo la quale il decreto 99/92 va integrato con le disposizioni regionali “circa i limiti da applicarsi nel territorio lombardo per lo spandimento dei fanghi non pericolosi in agricoltura”. (La Regione ha fissato, ai fini dell’avvio dei fanghi da depurazione all’utilizzo in agricoltura: un valore-limite pari a “mg/kg ss <10.000” per il parametro “Idrocarburi (C10-C40)”; un valore-limite pari “mg/kg Σ <50” per i parametri “Nonilfenolo”, “Nonilfenolo monoetossilato”, Nonilfenolo dietossilato”). La delibera, però, non è piaciuta a 51 comuni delle province di Lodi e Pavia che hanno fatto ricorso al Tar della Lombardia il quale ha annullato in parte la delibera regionale fissando valori limite differenti. Ma ci ha pensato il Tar della Toscana a creare ancora più scompiglio con la sentenza 887 dello scorso giugno che dava un’interpretazione ancora diversa della faccenda. Per finire, il consiglio di Stato chiama in causa la Conferenza Stato – Regioni che lo scorso 1 agosto ha espresso parere favorevole sulla necessità di provvedere al più presto al riesame della normativa.

Nel frattempo la regione Lombardia è entrata in una vera e propria fase di emergenza con le aziende agricole che hanno iniziato a non accogliere più materiali provenienti dai depuratori bloccando negli impianti circa 3000 tonnellate di fanghi a settimana. Un’autotutela preventiva, dunque, da parte degli operatori di settore in un quadro normativo estremamente confusionario. “Si era creata una situazione di emergenza – spiega Damiano Di Simine – perché oltre metà dei fanghi da depurazione prodotti in Italia vanno in agricoltura, se non vanno in agricoltura bisogna trovare discariche, inceneritori o portarli all’estero, altrimenti si bloccano i depuratori“.

 

 

 

 

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