Sicilia, emergenza rifiuti: approvato il piano stralcio di Pierobon

di Valentina Trifiletti 12/04/2018

Tre provvedimenti scritti in italiano e non in “burocratese”. Così il nuovo assessore ai rifiuti della Regione Sicilia fa il suo esordio nell’ingarbugliato sistema di gestione dell’isola. Si tratta di tre documenti, approvati dalla giunta regionale lo scorso cinque aprile, nei quali detta i primi indirizzi in materia.  In sintesi, i punti fondamentali del piano stralcio sono tre:

  • Niente termovalorizzatori;
  • 35% di raccolta differenziata entro il 2020;
  • Adottare impianti di trattamento e discariche.

Prima di scendere nei dettagli di ogni singolo punto faremo un passo indietro. Come sottolinea anche il neo assessore “la gestione dei rifiuti in Sicilia è stata negli ultimi due decenni improntata all’emergenzialismo“. L’obiettivo del raggiungimento del 15% della raccolta differenziata era fissato al 1999 e non al 2017, come mostra il rapporto annuale stilato dall’Ispra. “Solo” vent’anni di ritardo. Oggi, infatti, succede che i rifiuti, dopo essere parzialmente trattati, finiscono nelle discariche private, eccezion fatta per Bellolampo, l’unica pubblica ormai al collasso. Come si legge ancora nella premessa del documento “fra le altre incombenze che pendono sulla gestione e organizzazione del settore, la Commissione europea ha avviato una procedura per la mancata adozione del piano e di conseguenza sono stati congelati i i fondi europei previsti dalla programmazione 2014 – 2020“. Si tratta di 170 milioni di fondi fermi a Bruxelles. In ultimo ci sono gli Ato (Ambito territoriale ottimale) o meglio, come vengono chiamate in Sicilia, ARO (Ambiti di raccolta ottimali). Si tratta di decine di organismi, introdotti con ordinanze commissariali o con atti amministrativi, che inceppano e violano i criteri e le funzioni ordinamentali. Questa attuale configurazione organizzativa non rende applicabili le economie di scala e, sostanzialmente, moltiplica i costi e non garantisce l’autosufficienza. Non solo, è un sistema dispendioso perché non garantisce la prossimità tra il luogo di produzione dei rifiuti e il loro trattamento. E bacchetta l’assessore Pierobon: “L’assenza di un processo riformatore ha favorito l’istituzionalizzazione dell’emergenzialismo come pratica gestionale, operativa e di decisione“.

E’ questa, in estrema sintesi, la pesante eredità che grava sulle spalle della nuova giunta regionale. Con l’adozione del “Piano stralcio di gestione del ciclo dei rifiuti” si riparte da zero, dalla spiegazione, con un linguaggio estremamente chiaro, del concetto di economia circolare e dell’importanza della raccolta differenziata specificando che non verrà attivato alcun termovalorizzatore, di cui tanto si era parlato ma assolutamente ostacolato dalla popolazione.

Ma veniamo al nocciolo della questione: la raccolta differenziata. Oltre al piano stralcio, è stata approvata una delibera dal titolo “Primi indirizzi per l’incremento della raccolta differenziata e la riduzione dei rifiuti” nella quale Pierobon spiega l’esatta composizione delle categorie di rifiuti, le modalità di trattamento, il calcolo della tariffa, i singoli ambiti (industria, servizi, agricoltura) in cui intervenire con atteggiamenti e comportamenti diversi. L’obiettivo è ambizioso ma non irraggiungibile: arrivare entro due anni al 35% di raccolta partendo da quello attuale del 15,4%. Un numero sconfortante se si pensa che, nella classifica stilata dall’Ispra, la Sicilia è all’ultimo posto in classifica, subito dopo il Molise con il 28%. A onor del vero, è necessario dire che esistono sull’isola comuni virtuosi: quindici sopra i 15.000 abitanti che superano il 28% di differenziata. Fra i 20.000 e i 50.000 abitanti spiccano Misterbianco, Belpasso ed Alcamo che superano il 51%. Numeri oltre il 50% anche in ad Acate, Scordia, Menfi, cittadine dove si contano fra i 10.000 e i 20.000 abitanti. Fra i comuni più piccoli, infine, si distinguono realtà come quelle di Contessa Entellina, Roccamena, Campofiorito e Giardinello (80%), San Michele di Ganzaria, Licodia Eubea, Delia, Pantelleria e Vizzini (oltre il 67%). Questi numeri hanno rallegrato il governatore Musumeci che ha dichiarato: “Vogliamo valorizzare le buone pratiche di raccolta differenziata di oltre cento Comuni e i loro modelli di successo che consentono a cinquecentomila siciliani di vivere in un contesto civico ed ecologico di livello europeo per la gestione dei rifiuti. Ma questa mappa a macchia di leopardo deve essere colmata con l’impegno di tutti, a cominciare delle grandi città capoluogo“.

C’è un altro importante tema che ha affrontato l’assessore: gli impianti. Nel documento si legge: “Le gestioni attuali degli ATO e le SRR hanno trascurato la manutenzione/gestione degli impianti per mancanza di risorse. La loro capacità potenziale è di 66mila tonnellate. In un contesto di scarsa infrastrutturazione impiantistica si rende necessario procedere a soddisfare le domande di ampliamento fino al 30%  della capacità di trattamento degli impianti in attività“. Tradotto: gli impianti che lavorano devo fare di più. Ma non solo:

  •  Ogni provincia verrà dotata o implementata di centri comunali di raccolta;
  • Ogni provincia dovrà dotarsi di almeno due impianti di compostaggio a eccezione delle aree metropolitane di Palermo, Catania e Messina che dovranno averne quattro;
  • Ogni provincia dovrà avere un impianto di selezione della frazione secca, una di selezione meccanico-biologica e di presso-estrusione delle plastiche e uno di produzione di materia prima seconda a eccezione delle aree di Palermo, Catania e Messina  che dovranno averne tre;
  • L’attivazione di un numero adeguato di centri CONAI.

Non bisogna dimenticare che l’unico perno su cui si basa il fragile equilibrio della gestione dei rifiuti siciliana è quello delle discariche. Attualmente, in attività risultano dieci discariche, di cui quattro sono in chiusura nel corso dell’anno, con una capacità volumetrica sufficiente per il solo 2018. Basti pensare al caso di Bellolampo per la quale più volte è stata issata bandiera bianca. Il piano stralcio prevede, dunque, la realizzazione di almeno una discarica pubblica per provincia da identificare in ciascun territorio provinciale in base al fabbisogno dei comuni della provincia. Considerando che nel piano si prevede una media annuale per gli anni 2019/2020 di raccolta differenziata di circa il 30%,  serve lo spazio necessario per conferire in discarica di 4.500.000 tonnellate.

Un primo schizzo è stato fatto, serve adesso attivare la macchina dello Stato affinché vengano bandite le gare d’appalto per la costruzione degli impianti, progettati e costruiti.

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