Economia circolare, in Italia calano le iniziative delle aziende

di Redazione Ricicla.tv 04/12/2023

Secondo il Circular Economy Report del Politecnico di Milano nell’ultimo anno è calato il numero di aziende che adottano pratiche di economia circolare, frenato dalla congiuntura globale e dall’incertezza delle normative. Il riciclo resta la strategia prevalente, ma le aziende chiedono semplificazioni e incentivi


Entro il 2030 l’adozione di pratiche di economia circolare potrebbe aiutare le imprese italiane a risparmiare 103 miliardi di euro, ma anche a tagliare le proprie emissioni climalteranti per oltre 6 milioni di tonnellate di CO2 equivalente. Una leva di competitività e decarbonizzazione, che al passo attuale, tuttavia, rischia di dispiegare solo in parte il proprio potenziale economico e ambientale, ostacolata dagli alti costi di investimento, ma anche da normative in ritardo, lentezza delle autorizzazioni e dalla “incertezza e incoerenza governativa”. È il quadro in chiaroscuro tracciato dall’ultimo Circular Economy Report curato dal team Energy & Strategy del Politecnico di Milano, che analizza i dati emersi da una survey condotta su imprese attive in sette comparti dell’economia nazionale. Economia che continua a risultare una delle best performer europee in termini di circolarità, con un buon posizionamento sia sul fronte della produttività delle risorse e del material footprint, ovvero il tasso di risorse consumate per unità di produzione, sia per l’utilizzo di materia riciclata in sostituzione delle risorse vergini. Male, invece, il dato sugli investimenti privati, al penultimo posto tra i paesi dell’Ue.

Complici le turbolenze dello scenario macroeconomico globale, tra 2022 e 2023 è calato il numero di aziende che dichiarano di adottare almeno una pratica di economia circolare, raggiungendo quasi il 60% per le grandi imprese, mentre scende al 29% per le piccole, dove aumenta al tempo stesso il numero degli scettici, salito dal 38% del 2022 al 47% del 2023. Tra i settori, edilizia e impiantistica Industriale sono quelli che registrano più progetti (rispettivamente il 61% e il 48% di imprese hanno adottato almeno una pratica manageriale), mentre l’automotive è fanalino di coda con meno di un’impresa su quattro che si è attivata, nonostante il significativo potenziale.

Rispetto allo scorso anno gli investimenti fino a 50mila euro sono passati dal 61% al 51% del totale, mentre sono cresciuti dal 4% al 14% quelli oltre i 500mila euro. Ulteriore conferma del fatto che a mobilitare risorse sono soprattutto le aziende di grandi dimensioni. Le imprese che hanno adottato almeno una pratica di economia circolare hanno dichiarato che almeno nel 51% dei casi sono stati realizzati investimenti per un valore fino a 50mila euro, ma solo al 10% beneficiando di incentivi o di agevolazioni fiscali. In particolare, emerge che all’adozione di pratiche di Take Back System e Reuse siano stati dedicati per la maggior parte investimenti di piccola taglia (rispettivamente il 78% e il 62% del totale degli investimenti relativi pratica), mentre Design Out Waste e Recycle sono le pratiche per cui sono stati dichiarati più investimenti (rispettivamente il 22% e il 23% del totale degli investimenti relativi alla pratica è oltre i 500mila euro).

Nel quadro delle pratiche di economia circolare il riciclo continua a rappresentare l’attività prevalente, con un valore medio del 43%, che sale al 57% se si considerano le grandi aziende. A livello nazionale il tasso di riciclo raggiunge il 72% per i rifiuti speciali mentre per gli urbani si scende al 48%, con un’ampia forbice rispetto al dato sulla raccolta differenziata, che invece ha toccato il 64%. Segno, spiega lo studio, che la differenziata da sola non basta, se non accompagnata, si legge, “dalla qualità degli input del processo di trattamento” e dalla “adeguatezza ed efficienza del sistema impiantistico”. Serve però anche creare una filiera “che sia effettivamente interessata” agli output del riciclo, ovvero una domanda di mercato tale da giustificare i consistenti investimenti in tecnologia necessari ad estrarre risorse dagli scarti.

Proprio gli elevati costi di investimento (e i lunghi tempi di rientro), rileva l’indagine, rappresentano uno dei principali freni alla circolarità delle aziende, insieme alla “instabilità delle scelte governative in termini di normativa e incentivazione”. Nel 2022 le pratiche di economia circolare adottate dalla manifattura italiana, calcola il report, hanno garantito un risparmio di 1,2 miliardi di euro, in crescita sull’anno precedente ma lontano dall’obiettivo tendenziale degli 11 miliardi l’anno che consentirebbero di realizzare appieno il potenziale di risparmio al 2030, stimato in 103 miliardi di euro. Serve insomma decuplicare gli sforzi fin qui messi in campo per sganciare il sistema produttivo dal consumo di risorse naturali. Cosa che consentirebbe di associare ai benefici economici anche quelli ambientali, legati alla riduzione delle emissioni climalteranti: al ritmo attuale, spiega il report, entro il 2030 riusciremmo a tagliarle di 2,2 milioni di tonnellate di CO2 equivalente, che passerebbero a 6,2 nello scenario di massima realizzazione del potenziale.

A questo proposito, si legge, per le attività di Recycle e Recover le aziende chiedono semplificazioni e uniformazioni nelle pratiche autorizzative degli impianti, ma anche modifiche alla classificazione dei rifiuti, mentre per le attività di Reuse, Repair e Repurpose, viene richiesta l’introduzione di misure che portino i produttori a sviluppare prodotti modulari per facilitarne la riparazione e il ricondizionamento, ma anche l’estensione del periodo di garanzia per limitare l’obsolescenza programmata. Per quanto riguarda le proposte di policy dedicate alle attività di Rethink, Redesign e Reduce, emergono come di particolare interesse i settori del mobile, dell’elettronica e dell’automotive, per i quali si propone l’introduzione di incentivi fiscali a supporto dello sviluppo di modelli di business per lo sharing dei prodotti invenduti e per l’utilizzo di materie prime seconde nei nuovi prodotti.

Un’opportunità preziosa per sciogliere i nodi che ostacolano la transizione, spiega il rapporto, è rappresentata dall’attuazione della Strategia Nazionale per l’Economia Circolare, che tuttavia nel 2023 fa registrare “un generale ritardo” delle misure previste nel cronoprogramma 2022-2026. “Non accumulare ulteriore ritardo rispettando le scadenze imposte diventa imperativo per ridurre il divario con l’evoluzione del contesto normativo europeo”, si legge. In un quadro caratterizzato da rallentamenti e ritardi, una nota positiva viene dal fronte dell’innovazione: cresce il numero di brevetti circolari registrati, con l’Italia che raggiunge il secondo posto dopo la Germania, ma anche quello delle startup innovative, arrivate a toccare quota 210, dedicate soprattutto al fine vita e all’ecoprogettazione e collocate per il 34% in Lombardia. Semi di un futuro circolare, che in assenza del terreno adatto rischiano però di non germogliare: “l’immaturità dell’ecosistema startup nazionale rispetto ad altre economie occidentali – chiarisce il rapporto – è evidente anche nell’ambito circolare e rende necessaria una forte accelerazione finanziaria dedicata alle startup e all’innovazione nazionale circolare”.

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