Imballaggi, lo studio McKinsey: dal riuso rischio aumento di emissioni e costi

di Redazione Ricicla.tv 06/04/2023

Secondo uno studio di McKinsey, il passaggio a imballaggi riutilizzabili nel takeaway alimentare e nell’e-commerce può generare emissioni e costi collettivi superiori a quelli dell’attuale sistema basato sul riciclo di packaging monouso


Passare agli imballaggi riutilizzabili nel delivery e nella vendita di cibi da asporto potrà anche contribuire a tagliare la produzione di rifiuti, ma se non tarato bene il cambio di paradigma rischia di avere un costo decisamente elevato in termini di emissioni e consumo di risorse. Oltre a tradursi in maggiori oneri a carico di imprese e consumatori finali. Secondo uno studio di McKinsey l’impatto ambientale, economico e sociale della spinta al riuso, come quella data dal nuovo regolamento Ue sugli imballaggi – allo studio delle istituzioni europee e duramente contestato dall’Italia – potrebbe infatti rivelarsi superiore ai benefici. “I modelli di riutilizzabilità degli imballaggi sono stati segnalati come una soluzione per ridurre al minimo i rifiuti – dicono gli autori dello studio – tuttavia, i nostri scenari di casi d’uso rivelano che ci sono ancora una serie di sfide da risolvere prima che i vantaggi possano essere realizzati e scalati”. E prima che, per particolari tipi di packaging, i benefici del riuso riescano ad eguagliare o a superare quelli del riciclo.

Prendendo in esame due comparti diversi, la vendita di cibo d’asporto in Belgio e l’e-commerce di beni non alimentari in Germania, lo studio mette a confronto gli effetti economici e ambientali del riutilizzo con quelli degli attuali sistemi, basati prevalentemente su imballaggi monouso in carta. Per il takeaway alimentare Il nuovo regolamento sul packaging proposto dalla Commissione introdurrà, tra l’altro, l’obbligo di servire in contenitori riutilizzabili almeno il 20% di cibi e bevande da asporto a partire dal 2030. Secondo McKinsey, anche comparandolo con un tasso di riciclo molto basso, del 30% (in genere, spiega McKinsey, nei punti vendita di cibo da asporto la qualità della raccolta differenziata non è elevata), un sistema di riutilizzo di tazze e contenitori capace di garantire per ogni imballaggio almeno 20 rotazioni (cicli di raccolta, sterilizzazione e rimessa a disposizione del cliente) genererebbe tra il 140 e il 160% di emissioni di CO2 in più, legate prevalentemente al trasporto e alla pulizia, ma anche al maggiore utilizzo di materiali fossili per la produzione del packaging, con la plastica che finirebbe per sostituire buona parte delle applicazioni monouso oggi realizzate in carta. Anche il consumo d’acqua aumenterebbe di almeno 20 milioni di litri, mentre sul piano economico l’effetto combinato di questi fattori potrebbe tradursi in un aumento dei costi di oltre 10 milioni di euro.

Il secondo scenario prende invece in esame i sistemi di consegna a domicilio di beni non alimentari acquistati su siti di e-commerce, che secondo l’Ue entro il 2030 dovranno utilizzare almeno il 10% di imballaggi riutilizzabili. Il confronto con l’attuale sistema, che nel settore raggiunge tassi di riciclo degli imballaggi in carta e cartone fino al 90%, indica che passare a scatole o sacchetti riutilizzabili in plastica, anche in questo caso con almeno 20 cicli di riuso, porterebbe a un aumento compreso tra le 2,5 e le 3mila tonnellate di CO2 dovute principalmente alla crescente esigenza di trasporti “per restituire gli imballaggi agli operatori del riuso, ai centri logistici di terze parti o ai centri di distribuzione”. A differenza dell’imballaggio monouso, che una volta consegnato al cliente può finire anche nella raccolta differenziata domiciliare, il packaging riutilizzabile va infatti restituito al sistema. Per imballaggi che raggiungono 20 rotazioni, scrive McKinsey, “il trasporto rappresenterà probabilmente oltre il 75% dei costi e oltre il 65% delle emissioni di CO2“. Sul piano economico, lo studio stima quindi un aumento dei costi tra i 60 e i 70 milioni di euro ai quali, per le imprese, andrebbero aggiunti almeno 90 milioni di euro per ridefinire infrastrutture, spazi e mezzi. “I risultati dimostrano che gli obiettivi proposti per gli imballaggi riutilizzabili semplicemente non sono conformi a un approccio basato sulla dimostrazione del maggior vantaggio ambientale”, commenta il direttore generale di Assocarta Massimo Medugno.

Lungi dal rappresentare una soluzione taumaturgica insomma, il riuso, chiarisce McKinsey, “può aggiungere costi al sistema e aumentare l’uso di componenti fossili in termini di materiali, trasporti ed energia”. Per questo un eventuale cambio di paradigma non può prescindere dall’attenta valutazione di una serie di condizioni di base. Come il ciclo di utilizzo. Per ottenere riduzioni significative delle emissioni bisogna superare le 20 rotazioni, arrivando fino a 200 per gli imballaggi per cibo da asporto, spiega lo studio. C’è poi da considerare con attenzione la distanza percorsa da ogni imballaggio al termine del singolo ciclo d’uso: più questa cresce “maggiori sono i costi di emissione e quindi i principali svantaggi rispetto agli imballaggi monouso”, si legge. Occorre inoltre garantire l’avvio a riciclo degli imballaggi riutilizzabili al termine dei cicli di vita utile, spiega lo studio, soprattutto per quelli che non garantiscono un numero elevato di rotazioni. Senza dimenticare il costo dell’adattamento: sia quello economico per le imprese, che in molti casi saranno costrette a rivedere i propri modelli industriali, che quello sociale per i cittadini. “Il fatto che i clienti adattino o meno i loro comportamenti quotidiani influirà sull’implementazione di successo delle soluzioni di riutilizzo rispetto agli imballaggi monouso- spiega la ricerca – quanto più facilmente possono essere restituiti gli articoli riutilizzabili, tanto più facile può essere mantenuto un cerchio di riutilizzabilità”. “La soluzione migliore – aggiunge Massimo Medugno non può essere assunta da una decisione globale a livello Ue, come proposto dalla Commissione europea, ma deve essere fatto caso per caso, dando la preferenza a quelle opzioni che forniscono il miglior risultato ambientale complessivo”.

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