Rifiuti, parla l’Antitrust: «Poca concorrenza, serve Authority»

di Luigi Palumbo 10/02/2016

Irrigidire l’ecotassa per disincentivare i conferimenti in discarica, aumentare gli oneri a carico dei produttori di imballaggi per spingere la produzione di packaging sostenibili, limitare il ricorso ad affidamenti in house dei servizi di gestione dei rifiuti per stimolare la concorrenza nel settore. E poi ancora affidare compiti di regolamentazione e supervisione ad un’Authority terza, come già per acqua ed energia. Sono solo alcune delle proposte avanzate dal presidente dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato Giovanni Pitruzzella in occasione della presentazione del libro bianco che raccoglie i risultati finali dell’indagine conoscitiva IC49 sul mercato nazionale dei rifiuti solidi urbani, partita nell’agosto del 2014. «Quello dei rifiuti – ha detto Pitruzzella – è un settore importante in cui esistono numerosi blocchi alla concorrenza, e non è un caso che dove la concorrenza stenta ad affermarsi, troviamo spazio per il malaffare. Basti pensare all’intensa attività delle eco-mafie in questo campo e quindi alla necessità di intensificare il controllo di legalità soprattutto nelle regioni meridionali».

Un’indagine, quella condotta dall’Agcm, dalla quale emerge un quadro decisamente poco incoraggiante: sul mercato della raccolta rifiuti, spiega l’Autorithy, si muovo attualmente poche grandi imprese e moltissime “imprese nane”. Troppi e troppo lunghi gli affidamenti diretti o in house, spesso ad imprese che non posseggono i necessari requisiti di efficienza, troppo pochi gli spazi per una sana concorrenza tra aziende. Condizioni che si riflettono anche sui fatturati. Su un giro d’affari complessivo stimato dall’Istat in 23 miliardi di euro, l’85% del mercato viene gestito da 70 aziende (di cui solo 8 private) mentre il restante 15% è polverizzato tra ben 1.730 operatori. Quanto alle strategie di gestione, spiega l’Antitrust, circa un terzo dei rifiuti in Italia finisce ancora in discarica contro medie inferiori all’1,5% registrate in Germania, Belgio, Paesi Bassi e Svezia. Secondo l’Agcm sarebbe auspicabile una ecotassa più rigida che incentivi a raggiungere l’obiettivo “discarica zero”. Oggi la tassa è applicata in modo molto eterogeneo: si va dagli oltre 25 euro a tonnellata applicati dal Friuli Venezia Giulia ai 5,2 euro della Sardegna. Occorrerebbe separare, spiega l’Antitrust, la gestione dei due segmenti di filiera, quello della raccolta e quello dello smaltimento, e rendere “economicamente più conveniente il ricorso ai TMB e ai TMV. Questo – scrive l’Antitrust – potrebbe avvenire mediante la progressiva deregolamentazione delle condizioni economiche di tali attività e la promozione dello sviluppo di nuovi sbocchi (per esempio, utilizzando il Combustibile Solido Secondario, o CSS, prodotto dai TMB come combustibile per l’alimentazione dei cementifici)”.

Troppo invasiva, secondo l’Antitrust, la privativa comunale sulla raccolta degli rsu, così come è ancora troppo diffuso il ricorso a pratiche di assimilazione dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani, soluzione che finisce spesso per mettere fuori gioco le imprese private della raccolta sottraendo al tempo stesso materia preziosa al mercato del riciclo. Secondo l’Agcm, andrebbe poi rivisto anche il “sostanziale monopolio – scrive l’Agcm – del Conai e dei consorzi di filiera” sul mercato degli imballaggi. “Questo modello – si legge – ha contribuito significativamente all’avvio e al primo sviluppo della raccolta differenziata urbana e del riciclo in Italia. Ma ormai sembra aver esaurito la propria capacità propulsiva e produce risultati non più al passo con le aspettative”. Oggi, segnala l’Antitrust, il finanziamento a carico dei produttori copre solo il 20% del costo totale dei servizi di raccolta differenziata mentre il resto è a carico dei cittadini. Una redistribuzione dell’onere a carico dei produttori, secondo l’Autorità, incentiverebbe la produzioni di imballaggi più facilmente riciclabili. “Il modello verso il quale muoversi – scrive inoltre l’Antitrust – dovrebbe essere la creazione di un mercato dei sistemi di gestione (cosiddetti compliance scheme) che, in concorrenza tra loro, offrano ai produttori di imballaggi il servizio di gestione dei relativi rifiuti. Nel medio-lungo periodo, e mantenendo gli opportuni obblighi di servizio pubblico, sarebbe poi opportuno conferire ai compliance scheme, finanziati dai produttori, la piena responsabilità finanziaria e gestionale della frazione della raccolta differenziata costituita dagli imballaggi confluiti nella raccolta urbana, inclusa la gestione della raccolta, lasciando nella responsabilità degli Enti Locali soltanto la gestione e i costi della raccolta della frazione indifferenziata e della frazione organica”.

Secondo l’Agcm occorre però soprattutto porre un argine alla polverizzazione delle competenze in materia di regolamentazione del settore, procedendo alla sostituzione dell’attuale modello di regolazione diffuso con un modello di regolazione centralizzata e tecnica. Occorre individuare un soggetto, spiega l’Antitrust, cui attribuire competenza in merito a “specifiche questioni, quali la definizione degli indicatori e dei parametri di efficienza del servizio; la redazione di contratti-tipo, in modo da superare le asimmetrie informative esistenti tra gli Enti Locali e i soggetti affidatari del servizio; la definizione delle metodologie tariffarie; la vigilanza e il controllo sulle attività degli Enti locali competenti (soft regulation)”. Un appello, quest’ultimo, che il Governo ha di fatto già accolto. Tra le misure contenute nel Testo Unico sulla Pubblica Amministrazione di prossima emanazione, infatti, c’è proprio l’attribuzione di compiti di supervisione e regolamentazione del settore rifiuti all’Aeegsi, l’Autorità per l’Energia Elettrica, il Gas e il Sistema Idrico.

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