Sviluppo sostenibile, nei penitenziari del Sud Italia la moda è sempre più circolare

di Rosanna Auriemma 20/07/2022

Rinascita delle persone, ma anche dei rifiuti: è questo l’obiettivo di Made in Carcere che tra Puglia e Basilicata riunisce i detenuti in un progetto di economia rigenerativa. Donne, uomini e bambini nei laboratori dei penitenziari trasformano scarti tessili in borse e accessori di tendenza, mentre ricuciono i pezzi della propria vita

Messi ai margini della società, dimenticati, privati della loro quotidianità, separati dai propri figli: la vita dietro le sbarre non è facile per nessun carcerato, ma da qualche anno c’è chi ha iniziato a prendersi cura di loro. Si chiama Made in Carcere ed è un progetto che mira a una doppia rinascita: quella dei detenuti, che sempre troppo spesso vengono considerati lo scarto della società e parallelamente, quella dei veri scarti, tessili nello specifico, che con ago e filo i detenuti trasformano in borse, shopper bag, accessori, mascherine, sottraendoli alle discariche o agli inceneritori. “La nostra sfida nasce 15 anni fa – racconta Luciana Delle Donne, CEO di Made in Carcere – quando di carcere nessuno voleva parlare. Noi abbiamo sdoganato il mondo del carcere, creando un modello di economia rigenerativa. Insieme ai detenuti realizziamo bracciali, borse, cartelline con gli scarti tessili, di tappezzeria e pelletteria. Accessori colorati e originali, in seta pura, lycra, ottenuti riutilizzando persino la moquette del salone dell’Università Bocconi di Milano”.

Così, nei laboratori di vari penitenziari del Sud Italia donne, uomini e bambini si alternano per fare qualcosa di buono per se stessi e per l’ambiente. E mentre assemblano colorati scampoli di tessuto, giorno dopo giorno si impegnano a ricucire i pezzi della propria vita. “In Made in Carcere lavorano circa 40 persone divise tra i vari penitenziari di Puglia e Basilicata – continua Luciana Delle Donne – precisamente nelle carceri di Lecce, Trani, Taranto, Bari e Matera. Lavoriamo principalmente con donne detenute, sono pochi gli uomini coinvolti. Tanti, invece, i ragazzi che nel carcere minorile preparano con noi le ‘Scappatelle’, biscotti vegani certificati biologici”.

E se è vero che il lavoro nobilita l’uomo, rendendolo libero di inseguire una crescita personale e professionale, è altrettanto vero che proprio il lavoro rappresenta il principale strumento di riscatto per guardare al proprio futuro e a quello delle tante famiglie al di là delle sbarre. “Il nostro lavoro è sottotraccia – spiega la CEO di Made in Carcere – perché costruiamo valori intangibili per l’ambiente, per le persone che sono dentro e per quelle che sono fuori. Attraverso uno stipendio che percepiscono regolarmente con contratto di assunzione, i detenuti riescono a mantenere gli studi anche ai propri figli”.

Perché il bello si può costruire in ogni luogo e a crederci sono sempre più aziende che sostengono il progetto da Nord a Sud del Paese, donando all’associazione i propri tessuti di scarto. Un piccolo gesto per il bene delle persone e dell’ambiente. “Da tutta Italia le aziende donano i propri materiali di scarto tessile – aggiunge Delle Donne – che noi siamo felici di raccogliere, anche perché sarebbero destinati alla discarica. Il nostro obiettivo è di moltiplicare questo modello rigenerativo in tutti i penitenziari italiani. Tutti devono essere consapevoli che dare e darsi è la nuova frontiera della ricchezza“.

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