Domanda in calo e concorrenza sleale: ecco perché il riciclo della plastica è in crisi

di Luigi Palumbo 12/10/2023

Nel 2023 il prezzo dei polimeri riciclati dalle imprese Ue è diminuito fino al 50%, mentre sono aumentate le importazioni dall’estero. Che in molti casi nascondono vere e proprie frodi. La denuncia di riciclatori: “Subito un sistema di tracciabilità”


L’industria europea del riciclo della plastica è in crisi. Nell’ultimo anno il valore dei polimeri riciclati dalle imprese Ue è letteralmente crollato, mentre la concorrenza dei fornitori extra-Ue come India, Cina e Turchia strappa ai riciclatori del Vecchio Continente una fetta di mercato sempre più grande. Al pari degli altri settori industriali anche quello del riciclo della plastica ha pagato, e paga, il prezzo elevato di un congiuntura economica non favorevole – prima per i costi energetici e ora per la crisi inflattiva che sta comprimendo la domanda – ma nell’ultimo anno, denunciano le principali associazioni europee, la crisi ha assunto proporzioni inedite. “Il mercato della plastica riciclata in Europa è stato fortemente destabilizzato per tutto il 2023 – scrive in una nota Plastics Recyclers Europe, secondo cui – dall’inizio dell’anno i prezzi dei materiali riciclati sono diminuiti fino al 50%, mentre le importazioni a basso costo di materiali dall’esterno dell’Ue sono aumentate in modo significativo“.

Emblematico il caso del rPET, tra i polimeri riciclati a maggior valore aggiunto. Dopo un inizio 2021 di crescita dei prezzi, spinti dalla forte domanda legata alla ripartenza post pandemica, la domanda interna si è orientata sempre di più verso i polimeri vergini, tipicamente più economici, ma soprattutto verso polimeri a buon mercato importati da paesi extra-Ue, spiega Plastics Recyclers Europe. “Tra il 2021 e il 2022 le importazioni di PET sono raddoppiate raggiungendo 1,9 milioni di tonnellate, con India, Cina e Turchia tra i maggiori esportatori in termini di volumi e valore seguiti da Indonesia, Egitto e Vietnam”. Un trend proseguito per tutto lo scorso anno e continuato anche nell’anno in corso. “Le importazioni di PET nell’Ue sono aumentate del 20% dal secondo trimestre del 2022 al secondo trimestre del 2023, determinando una bassa domanda di rPET dell’Ue. Di conseguenza, queste dinamiche dirompenti del mercato hanno portato a una diminuzione stimata del 10% dell’rPET nello stesso periodo“.

Insomma, le imprese europee stanno producendo sempre meno PET riciclato. Eppure la direttiva SUP, che ha messo al bando un lungo elenco di plastiche monouso, obbliga i produttori di bottiglie per bevande a utilizzare almeno il 25% di plastica riciclata entro il 2025 e il 30% entro il 2030. Una misura che, in teoria, dovrebbe trainare la domanda e quindi stimolare l’offerta. Ma la realtà è ben diversa. Il boom delle importazioni registrato tra 2021 e 2022 sul mercato del rPET, scrive infatti Plastics Recyclers Europe, “potrebbe essere spiegato dall’aumento della domanda guidata dagli obiettivi di contenuto riciclato del 25% per le bottiglie per bevande entro il 2025, e dal conseguente aumento dei prezzi dell’rPET nel continente“. Al quale le imprese utilizzatrici, con ogni probabilità, hanno risposto rivolgendosi ai più economici – perché meno controllati – polimeri d’importazione.

Una “mancanza di condizioni di parità”, scrive PRE, determinata soprattutto dall’assenza di sistemi di tracciabilità e controllo della qualità del riciclato d’importazione. “È necessario garantire che il PET riciclato importato nell’Ue a prezzi significativamente più bassi sia conforme alla rigorosa normativa sul contatto alimentare, e quindi non svantaggi gli sforzi compiuti per creare una solida industria del rPET in Europa”, aveva affermato lo scorso giugno Casper van den Dungen, vicepresidente di Plastics Recyclers Europe. Ma il rischio “di vere e proprie frodi”, non riguarda solo il PET, come denunciava l’associazione italiana Assorimap nell’ultimo rapporto annuale, pubblicato in primavera. Parlando del HDPE, un altro dei polimeri più diffusi sul mercato, il dossier registrava l’aumento di “granuli di importazione, tipicamente da paesi extra-Ue, genericamente presentati come ‘riciclati’, il cui posizionamento di prezzo (inferiore addirittura al vergine) li qualifica probabilmente come seconde scelte / fuori norma (in ogni caso si tratta di vergine e non di riciclati)”.

In assenza di controlli, gli obblighi di contenuto minimo di materia riciclata rischiano di trasformarsi, da misura traino, in un vero boomerang per i riciclatori europei. Quasi come per effetto di una moderna legge del contrappasso, visto che i paesi dai quali sono in aumento le importazioni figurano anche tra le principali destinazioni dei rifiuti plastici che l’Ue raccoglie ma non riesce a riciclare. Tra i principali mercati di sbocco – spesso all’esito di triangolazioni poco trasparenti – Indonesia, India ma soprattutto Turchia, dove le importazioni dall’Ue sono passate da meno di 100mila tonnellate nel 2011 a 700mila nel 2021. In pratica i rifiuti di plastica a minor valore aggiunto che l’Europa ha spedito nei paesi terzi stanno tornando in Ue nella forma di polimeri riciclati a buon mercato. Una valanga che rischia di travolgere l’industria del riciclo del vecchio continente.

Vietare tout-court l’export di scarti in plastica non si può, ha ribadito nei mesi scorsi il commissario Ue all’Ambiente Virginius Sinkevicius commentando la proposta dell’europarlamento di un bando totale nell’ambito del negoziato in corso sulla revisione del regolamento sulle spedizioni di rifiuti. E anche sul fronte delle importazioni, secondo i riciclatori, la via d’uscita dalla crisi non passa per i divieti ma per l’aumento dei controlli. “L’introduzione di un sistema di certificazione indipendente da parte di terzi risolverebbe questi problemi”, precisa Plastics Recyclers Europe. Sulla stessa lunghezza d’onda l’associazione EuRIC, secondo cui “la definizione di obiettivi obbligatori in materia di contenuto riciclato si è rivelata uno strumento efficace e prezioso per aumentare la diffusione del materiale riciclato e aumentare le capacità di riciclo in Europa”, ma “affinché i potenziali benefici dell’obbligo di contenuto riciclato si concretizzino pienamente – si legge in una nota – esso deve essere accompagnato da solidi meccanismi che garantiscano la tracciabilità, una contabilità accurata e una verifica rigorosa dei polimeri riciclati”.

Per questo EuRIC chiede l’introduzione di nuovi obblighi di contenuto riciclato, oltre a quelli per le bottiglie in PET – gli unici oggi in vigore in Ue – ma anche nuovi strumenti “per proteggere l’industria europea del riciclo dalla concorrenza sleale e dall’importazione fraudolenta”, così come agevolazioni fiscali e di mercato, come un IVA ridotta per i prodotti che contengono plastica riciclata. “È in gioco il futuro dell’industria del riciclo – ha dichiarato il presidente di Plastics Recyclers Europe Ton Emans – ed è necessaria un’azione immediata sotto forma di misure coercitive per evitare la chiusura degli impianti di riciclaggio in tutta Europa, con effetti a catena sull’occupazione, sull’economia europea in generale e sull’ambiente”, ha aggiunto.

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