Imballaggi in cartone, così i produttori diventano garanti della sostenibilità

di Luigi Palumbo 28/03/2023

Certificazioni, metodi innovativi di analisi ed ecodesign. Ma anche condivisione delle competenze: così i produttori italiani di imballaggi in cartone ondulato puntano a diventare garanti di sostenibilità per l’intera filiera. Il dibattito all’assemblea annuale di ACIS, l’Associazione Italiana degli Scatolifici


Dopo due anni turbolenti, tra crisi energetica e strozzature delle catene di fornitura, il mercato degli imballaggi in cartone torna a crescere sotto la spinta delle nuove abitudini di consumo. Partendo da numeri di tutto rispetto: ogni anno in Italia un miliardo di metri quadrati di cartone ondulato è trasformato in nuovo packaging dalle imprese produttrici, e il dato è in lievitazione costante grazie al boom del delivery e dell’e-commerce. Assieme ai volumi di mercato cresce però anche l’attenzione di consumatori e utilizzatori ai temi della sostenibilità, cosa che chiama le imprese di settore a ridefinire i propri cicli produttivi sulla base di materie prime sempre più rinnovabili e circolari. “Le richieste dei nostri clienti aprono nuovi scenari – ha spiegato il presidente dell’Associazione Italiana Scatolifici Andrea Mecarozzi in occasione dell’assemblea annuale di ACIS – ci troviamo sempre più spesso a produrre imballaggi con materiali talvolta meno performanti, ma dovendo garantire le stesse caratteristiche tecniche, anche in termini di stampabilità e risultato cromatico”.

Secondo Nomisma, le scelte di consumo dei cittadini sono sempre più influenzate dalla riciclabilità del packaging (43%), e dalla presenza di materie prime derivanti da fonti rinnovabili o a ridotte emissioni di CO2 (43%). La maggiore sensibilità dei consumatori finali all’impatto ambientale dei propri comportamenti si riflette nelle scelte di acquisto delle imprese utilizzatrici, che per confezionare e distribuire i propri prodotti puntano sempre di più su un packaging che sia capace di associare alle prestazioni tecniche anche i benefici ambientali. Ma anche su imprese produttrici che si facciano garanti della sostenibilità dell’intero processo. “Al nostro fornitore non possiamo più limitarci a chiedere un prodotto che sia solo perfettamente macchinabile o consegnato ‘just in time’ – chiarisce Eleonora Emili, responsabile acquisti packaging di Grissin Bon – ma chiediamo conoscenze e competenze sui temi della sostenibilità. Conoscenze e competenze che i fornitori trasferiscono a noi utilizzatori e che noi a nostra volta utilizziamo per educare i nostri clienti, quindi soprattutto la grande distribuzione. Questo ci aiuta a costruire un’idea di sostenibilità più completa e soprattutto veritiera“.

Perché la sostenibilità sia ‘un’idea veritiera’ e non una scatola vuota dipinta di verde, serve insomma farne un valore condiviso tra i vari anelli della filiera. A partire dai produttori, chiamati a integrarla in tutte le fasi della lavorazione, dalla progettazione alla trasformazione. Al pari della carta, il cartone ondulato ha già la circolarità nel dna (per gli imballaggi cellulosici l’Italia è all’85% di riciclo, in anticipo sull’obiettivo Ue al 2035), ma le richieste del mercato costringono le imprese a un cambio di passo basato sull’innovazione, che parta dalla messa a sistema dei nuovi strumenti tecnici e tecnologici per misurare e certificare in maniera oggettiva le prestazioni ambientali dei processi e dei prodotti. “Negli ultimi anni sono stati adottati, sia a livello nazionale che europeo, metodi e linee guida per la progettazione sostenibile del packaging, ma anche per testare e misurarne la circolarità – spiega Marco Buchignani, del Centro Qualità della Carta della Lucense – per la riciclabilità basti citare il metodo UNI 11743, valutato in Italia con il metodo Aticelca 501, mentre a livello europeo a fine dicembre 2022 è stato adottato il metodo armonizzato CEPI. Due metodi diversi tra loro, anche se abbastanza allineati”.

Sul fronte della materia prima utilizzata, sia essa vergine o riciclata, un ruolo sempre più centrale è svolto dalle certificazioni e dalle catene di custodia, ‘patenti’ di sostenibilità che i produttori possono esibire ai potenziali utilizzatori e che diventano strumenti indispensabili per scongiurare il rischio di greenwashing. Evitando cioè di vedere spacciata per riciclata carta che non lo è, ma anche garantendo che la cellulosa vergine provenga da gestioni forestali controllate. Cosa che esclude, per esempio, le filiere nazionali che possano potenzialmente contribuire al finanziamento di conflitti. Motivo per cui, da marzo 2022 e a tempo indeterminato, il circuito certificato PEFC non accetta più legna proveniente da Russia e Bielorussia. “La certificazione offre garanzie a chi si pone domande sulla sostenibilità o meno della materia prima – spiega Giovanni Tribbiani di PEFC Italia – ed è assicurata dal fatto di essere ‘di parte terza’. Ciò significa – chiarisce – che chi fa le regole non è lo stesso soggetto che effettua controlli sull’impresa che sceglie di certificarsi”.

Senza dimenticare che la sfida per un packaging sempre più sostenibile obbliga le imprese a ripensare il modo in cui progettano i propri prodotti. “Il design è un mediatore, genera un ponte tra tutti gli attori della filiera – spiega Erik Ciravegna, professore di advanced design all’Università di Bologna – il risultato della progettazione non è la semplice forma, ma traduce nella forma le necessità di tutti gli attori della filiera, compresi i soggetti che utilizzano gli imballaggi e quelli che subiscono gli impatti ambientali, sociali ed economici che l’utilizzo stesso genera. Il design deve garantire la sintesi formale di queste esigenze con un occhio al futuro, in una logica anticipatrice che sia anche etica”. A proposito di futuro, il percorso delle imprese produttrici di packaging verso prodotti e processi sempre più sostenibili e circolari non potrà non passare anche per il confronto con i decisori politici. Soprattutto a livello europeo, dove continua il dibattito sulla proposta di regolamento sugli imballaggi che punta con decisione su riduzione dei rifiuti e riutilizzo dei prodotti. “Credo che il regolamento debba essere rivisto – chiarisce Andrea Mecarozzi – il cartone ondulato, per le sue caratteristiche, non consente riutilizzo né alcuna forma di seconda vita che non passi per il riciclo. Tenere il regolamento così com’è sarebbe un errore dal nostro punto di vista, perché spingerebbe l’utilizzo da parte dei consumatori finali di imballaggi realizzati in materiali di gran lunga meno sostenibili“.

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