Secondo IPSOS il 43% degli italiani non ritiene credibile che l’Italia abbia la percentuale di riciclo più alta in Europa. Serve consolidare la leadership nazionale sul fronte dell’economia circolare snellendo le autorizzazioni e coinvolgendo i territori, avverte Legambiente. “Ma anche recuperando un rapporto costruttivo con l’Ue” chiarisce Stefano Ciafani
Ribaltare le logiche del consenso, che frenano gli investimenti tanto quanto la burocrazia e il quadro normativo inadeguato. Ma anche ristabilire un rapporto costruttivo con l’Europa sul piano delle politiche ambientali. Questi secondo Legambiente i nodi da sciogliere per non perdere la leadership europea sul fronte dell’economia circolare. Una leadership della quale però gli italiani stentano ad acquisire consapevolezza. Stando a una ricerca IPSOS, presentata in occasione dell’Ecoforum annuale organizzato dall’associazione del cigno verde, anche se nel 2023 sono cresciuti sia la quota dei conoscitori dell’economia circolare, che arriva al 45%, sia il numero dei cittadini secondo i quali i ‘green jobs’ aumenteranno in futuro, pari al 60% del campione, il 43% dei cittadini non sa e non ritiene credibile che l’Italia abbia la percentuale più alta in Europa sul riciclo dei rifiuti.
“Bisogna fare una grande campagna di informazione, sensibilizzazione e coinvolgimento” ha detto il presidente di Legambiente Stefano Ciafani. Anche perché è proprio sul terreno della scarsa informazione che spuntano come funghi i sempre più numerosi ‘no’ alle infrastrutture indispensabili per l’economia circolare, come i nuovi impianti di riciclo dei rifiuti, a partire da quelli organici. “Bisogna creare il consenso sul territorio. Tutti devono cambiare atteggiamento – ha chiarito Ciafani – ci sono responsabilità di una parte del mondo ambientalista, però c’è anche una responsabilità da parte del mondo della politica, che cavalca le proteste territoriali per consenso elettorale. Bisogna mettere in campo la transizione culturale che non abbiamo visto fino a oggi”.
Una rivoluzione culturale che, chiarisce Legambiente, deve passare anche per lo snellimento della burocrazia e l’adeguamento del quadro normativo, indispensabili per sbloccare le autorizzazioni e rilanciare gli investimenti. Soprattutto a Sud. “Abbiamo un’Italia duale – ha detto il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin – la sfida è quella di creare le condizioni perché anche le realtà in ritardo possano crescere. La nostra normativa deve evolversi e le correzioni vanno fatte anche per tenere il passo dell’evoluzione tecnologica”. Nella partita per recuperare i gap territoriali sul fronte della raccolta e riciclo dei rifiuti molto dipenderà anche dalla capacità dell’Italia di rispettare le scadenze per l’attuazione del PNRR: oltre 2 i miliardi di euro a disposizione di imprese e comuni, destinati anche alla costruzione di nuovi impianti e per la maggior parte già assegnati ai beneficiari. Ora la sfida è quella di garantire la realizzazione degli interventi entro il giugno del 2026. “C’è ancora la possibilità di non mancare la scommessa, ma il tempo comincia a stringere – ha avvertito Ciafani – bisogna supportare gli enti locali nella progettazione degli interventi e nell’autorizzazione degli impianti finanziati”.
Ai ritardi territoriali, da recuperare anche grazie al PNRR, fanno da contraltare le eccellenze nazionali dell’economia circolare. Due le filiere di punta elevate a esempio della leadership italiana da Legambiente, quelle degli olii usati e degli imballaggi. “L’esperienza del CONOU – ha commentato il presidente Riccardo Piunti – che rigenera tutto (98%) l’olio minerale usato, dimostra non solo che l’economia circolare non è un’utopia, ma anche che è una leva in grado di apportare benefici concreti: nel solo 2022, grazie al lavoro delle imprese del CONOU, si è evitata l’immissione in atmosfera di 64mila tonnellate di CO2 e di una serie di innumerevoli inquinanti, ma anche si sono risparmiati circa 130 milioni di euro di importazioni di greggio. Una eccellenza di risultati e di modello organizzativo, i consorzi, senza pari in Europa”.
Risultati e modello organizzativo che, in tema di imballaggi, continuano invece a essere oggetto dell’aspro confronto con l’Ue sulla proposta di regolamento presentata dalla Commissione. L’obiettivo di Bruxelles è quello di spostare l’asse delle politiche di gestione dal riciclo alla riduzione e riutilizzo, introducendo obiettivi minimi immediatamente applicabili in tutti gli Stati membri, ma l’Italia teme che questo approccio possa mettere a rischio la tenuta dalle filiere nazionali del packaging. “Siamo in linea con gli obiettivi di riciclo al 2025 e su molti materiali anche sopra quelli al 2030. Il riuso va fatto dove possibile, rafforzando quello che già si fa sul riciclo – ha spiegato il presidente di Conai Ignazio Capuano – il nostro è un paese povero di materie prime. L’avere disponibilità di materie prime seconde è fondamentale. Quello italiano è un sistema che non può essere distrutto”.
Pur riconoscendo la legittimità delle critiche mosse al regolamento, Legambiente invita però il mondo delle imprese e quello della politica a riportare il rapporto con l’Ue sui binari del confronto costruttivo, abbandonando “la strategia ‘dell’al lupo al lupo’ che abbiamo praticato negli ultimi mesi”, ha chiarito Stefano Ciafani portando a esempio i ‘no’ del governo alle proposte legislative sulle case verdi e sullo stop ai motori endotermici. “Se continuiamo a contestare l’Europa su tutto, l’Europa non ci ascolterà più, anche se abbiamo ragione. Sul regolamento imballaggi ci sono ancora aspetti puntuali da sistemare, ma se continuiamo così rischiamo di far perdere al nostro paese la leadership della transizione ecologica”.