Riciclo, la ‘settima risorsa’ è la risposta alla policrisi

di Monica D'Ambrosio E Luigi Palumbo 17/03/2023

Emissioni, energia, materie prime critiche. Il riciclo può aiutarci a rispondere alla policrisi, contrastando il sovrasfruttamento delle risorse naturali che distrugge interi ecosistemi. Ma l’Europa deve cambiare passo, mentre l’Italia deve mettere a sistema le proprie eccellenze


Acqua per tamponare i sempre più frequenti periodi di siccità. Materie strategiche per ridurre la dipendenza dalle importazioni dall’estero. Ma soprattutto, meno consumi di risorse naturali, di energia fossile e, con loro, minori emissioni in atmosfera. A metterli in fila, i benefici del riciclo fanno apparire in maniera chiara e inconfutabile quanto la definizione di un nuovo paradigma di sviluppo non possa che passare anche per la nostra capacità di recuperare dai rifiuti tutto quanto possa essere reimpiegato in nuovi cicli di produzione. Un messaggio che deve risuonare ancora più forte nell’era della ‘policrisi’, con l’emergenza energetica e quella delle catene del valore a intrecciare la grande crisi del nostro tempo, quella climatica, e i suoi effetti devastanti sul pianeta.

Serve sganciare le esigenze del sistema economico e il benessere degli individui da un sistema ancora troppo basato sul consumo intensivo di risorse naturali, scrive l’UNEP nell’ultimo Global Resources Outlook, stando al quale dal 1970 a oggi questo è più che triplicato e, ad un ritmo invariato, nel 2050 ci metterà nelle condizioni di avere bisogno dell’equivalente di tre pianeti. Ecco perché, dicono i promotori del Global Recycling Day, fissato dall’ONU al 18 marzo di ogni anno, accanto alle sei risorse naturali che hanno tradizionalmente alimentato lo sviluppo economico e sociale sul pianeta – acqua, aria, carbone, gas naturale, petrolio e minerali – disponibili in quantità sempre più limitate e il cui sfruttamento intensivo mette a repentaglio interi ecosistemi, oltre che milioni di famiglie e imprese, serve considerare la materia riciclata come una ‘settima risorsa’.

Stando al nuovo piano d’azione Ue sull’economia circolare, del resto, l’estrazione e la trasformazione delle risorse “sono all’origine della metà delle emissioni totali di gas a effetto serra e di oltre il 90% della perdita di biodiversità e dello stress idrico”. Ecco perché la Commissione punta a fare del riciclo uno degli assi strategici del Green Deal, verso l’obiettivo di neutralità climatica al 2050. Senza dimenticare il risparmio di energia, tema centrale dopo l’invasione russa ai danni dell’Ucraina che sta costringendo l’Ue a ridefinire le proprie strategie di produzione e approvvigionamento. Secondo la Commissione, l’uso di materie prime secondarie in settori chiave della manifattura europea come metallo, vetro e carta, garantisce infatti “un risparmio energetico dal 20% al 90%, oltre a un notevole risparmio idrico”.

Ma la strada è ancora lunga. Stando ai dati Eurostat, nel 2021 il tasso di circolarità nell’Ue, ovvero la quantità di materia riciclata sul totale delle risorse utilizzate dal sistema produttivo, era dell’11,7%, in calo rispetto all’anno precedente, sebbene cresciuto rispetto all’8,4% del 2004. Anche l’Italia, con il suo 18,4% perde due punti rispetto al 2020, ma resta dopo Paesi Bassi, Belgio e Francia tra i paesi più virtuosi in Ue. Sebbene più indietro in termini di reimpiego di materia riciclata nelle nuove produzioni, l’Italia resta leader per capacità di riciclo dei rifiuti. Secondo il rapporto ‘L’Italia che Ricicla’ realizzato da Ref Ricerche per Assoambiente, la principale associazione delle imprese private del riciclo, con l’83,2% calcolato sulla totalità dei rifiuti, sia urbani che speciali, nel 2020 l’Italia si è collocata al primo posto a livello europeo, dato decisamente superiore non soltanto alla media Ue (39,2%), ma anche rispetto ai maggiori paesi dell’Unione.

Del resto, ben prima di diventare strumento centrale nelle politiche europee per la lotta al cambiamento climatico, per il nostro paese il riciclo era già una necessità strategica, indispensabile a fare fronte alla scarsità di materie prime naturali. Oggi che a dettare il passo dello sviluppo economico sono gli obiettivi di decarbonizzazione, e i vincoli stringenti che il processo imporrà a interi settori produttivi dell’Ue, l’attitudine al recupero di risorse dai rifiuti nata come scelta obbligata per una buona fetta della nostra manifattura è destinata a trasformarsi sempre di più in un autentico vantaggio competitivo. Soprattutto per settori come quello siderurgico, che oggi produce l’80% dell’acciaio a partire dal rottame, a fronte di una media europea del 57%. O per quello cartario, nel quale Il 63% della produzione proviene da fibre riciclate, con un tasso che per i soli imballaggi supera l’obiettivo europeo dell’85% al 2030.

Quella degli imballaggi resta una delle filiere simbolo del riciclo nel nostro paese, con un tasso che secondo stime di Conai nel 2023 toccherà il 75%, dieci punti in più sull’obiettivo europeo del 65% al 2025. Secondo il consorzio, in 25 anni il sistema nazionale ha garantito la reimmissione nel circuito produttivo di risorse pari a oltre 63 milioni di tonnellate di materia prima vergine, ma anche un risparmio energetico calcolabile in 322 TWh, che diventano 894 TWh se si considera anche il packaging gestito al di fuori delle raccolte differenziate, e un taglio di 56 milioni di tonnellate di CO2. Altra filiera d’eccellenza quella dei rifiuti organici: nel 2021 ne abbiamo trattati 8,3 milioni di tonnellate, trasformandoli in 2,1 milioni di tonnellate di compost, con un taglio di 3,8 milioni di tonnellate di CO2 e una riduzione del fabbisogno d’importazione di fertilizzanti di sintesi. Senza dimenticare la produzione di 406 milioni di metri cubi di biogas, trasformati in 440 GWh di energia elettrica e 125 GWh di energia termica, e 136 milioni di metri cubi di biometano. In tutto e per tutto sostituibile al gas naturale d’importazione sul quale poggia una fetta importante del nostro sistema energetico. E che, esattamente come per i concimi sintetici, prima dell’invasione dell’Ucraina vedevano nella Russia il nostro principale fornitore.

Ai comparti d’eccellenza del riciclo italiano fanno da contraltare i ritardi di filiere che, nel prossimo futuro, potrebbero invece giocare un ruolo sempre più centrale. Come quella del recupero delle acque reflue depurate, che potrebbe contribuire a dare risposta a una siccità diventata orma endemica per il nostro paese. Secondo un’indagine di Utilitalia, ogni anno 9 miliardi di metri cubi di acqua in uscita dagli impianti di depurazione potrebbero essere utilizzati per soddisfare parte della domanda in agricoltura, ma al momento riusciamo a sfruttarne solo il 5% (475 milioni di metri cubi) a causa di limiti normativi ed economici, e di una governance non adeguatamente strutturata. Nodi che il governo punterà a sciogliere con un nuovo regolamento, posto in consultazione pubblica, per allineare il quadro normativo di riferimento alle nuove regole europee in vigore dal prossimo 26 giugno.

Stesso discorso vale per un altro settore destinato a diventare strategico, quello del recupero di materie prime critiche dai rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche. Nel suo Critical Raw Materials Act, presentato ieri, l’Ue chiede agli Stati membri di spingere sul riciclo per ridurre la dipendenza dai fornitori esteri, Cina in testa. Secondo un brief di Cassa Depositi e Prestiti, dai prodotti tecnologici a fine vita il nostro paese potrebbe recuperare circa 7mila 600 tonnellate di MPC, pari all’11% delle importazioni dalla Cina nel 2021. Per farlo però occorrerebbe raggiungere il tasso di raccolta dei best performer europei, che viaggia tra il 70 e il 76% mentre l’Italia è ferma al 39%. Ma servirebbero anche gli impianti industriali a tecnologia complessa, che oggi invece mancano e che non a caso il PNRR punta a finanziare con uno stanziamento da 150 milioni di euro, nell’ambito del piano da 2,1 miliardi di euro per interventi su rifiuti ed economia circolare da completare entro il giugno del 2026.

Per non gettare al vento il vantaggio competitivo acquisito trasformando il riciclo di necessità in un sistema industriale capace di primeggiare in Europa, secondo Assoambiente serve spingere la realizzazione di nuovi impianti sciogliendo i nodi che oggi la ostacolano, come la lunghezza delle procedure autorizzative, la complessità del panorama normativo-regolatorio e la farraginosità del sistema dei controlli. Ma serve anche stimolare il mercato delle materie prime seconde, altrimenti il gap tra i rifiuti riciclati e quelli utilizzati nelle nuove produzioni in sostituzione di risorse naturali è destinato ad allargarsi. “È fondamentale che venga adottata compiutamente e celermente la strumentazione economica prevista dalla Strategia Nazionale per l’Economia Circolare, a partire dall’introduzione dei Certificati del Riciclo – ricordava il presidente di Assoambiente Paolo Barberi – oltre a strumenti efficaci come gli incentivi fiscali (ad esempio con IVA agevolata) per rendere competitivi i materiali riciclati rispetto alle materie prime vergini. Altro intervento di fondamentale importanza è l’adozione in tempi brevi delle norme tecniche che dovrebbero regolamentare il settore favorendo la creazione di un mercato stabile e trasparente, siano esse relative all’end of waste, ai sottoprodotti, o ai criteri ambientali minimi per le gare pubbliche”.

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