Il primo semestre del 2022 sarà un “momento cruciale” per l’attuazione degli interventi in materia di rifiuti previsti dal PNRR, scrive la Corte dei Conti, secondo cui le riforme disegnate dal Ministero della Transizione Ecologica sono “un buon punto di partenza” ma possono essere migliorate e rese più efficaci
“Un momento cruciale”. Così, nel capitolo dedicato ai rifiuti della relazione sullo stato di attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, la Corte dei Conti definisce il primo semestre del 2022, “e in particolare il secondo trimestre” nel corso del quale, si legge, “verranno definiti compiutamente i contenuti delle riforme e dovrebbe iniziare a delinearsi un quadro più chiaro in merito agli interventi infrastrutturali” disposti dal Ministero della Transizione Ecologica per allineare il settore alle ambiziose politiche europee in materia di economia circolare. All’orizzonte ci sono i target vincolanti al 2035, 65% di riciclo (oggi l’Italia al 48,4%) e 10% massimo di discarica (oggi siamo al 19%), ma lungo il percorso non mancano gli ostacoli.
“Basti pensare – scrive la Corte – ai deficit territoriali consistenti nella gestione di talune frazioni critiche di rifiuto, come il rifiuto indifferenziato e l’organico, o al mancato completamento della governance su tutto il territorio nazionale”, ma anche “all’eccessiva lunghezza delle tempistiche nella realizzazione delle opere preposte alla gestione delle diverse fasi del ciclo”. Se le infrastrutture connesse alla raccolta presentano tempi più ridotti, con una durata media di 3,4 anni, le opere più complesse, relative allo smaltimento e al trattamento denotano, invece, una durata superiore, corrispondente a 4,7 anni. Tempi sui quali incidono anche “fenomeni NIMBY e NIMTO particolarmente pronunciati” scrive la Corte, e che non si sposano con la necessità di portare a termine entro il 2026 gli interventi previsti dal PNRR.
Più che il finanziamento alle infrastrutture, nel PNRR, ricorda però la Corte, “a prevalere è il pilastro dell’azione riformatrice”, che dovrà svilupparsi lungo tre linee d’intervento principali: il Programma Nazionale di Gestione dei Rifiuti, la Strategia Nazionale sull’Economia Circolare e il supporto tecnico alle amministrazioni locali, tutte da portare a compimento entro il prossimo 30 giugno. “Per la Strategia e il Programma nazionali, le informazioni rese disponibili con le versioni preliminari delle riforme – scrive la Corte – consentono di delineare un buon punto di partenza” ma c’è ancora margine d’intervento per “consentire una maggiore efficacia delle riforme”. Il Programma, osserva ad esempio la Corte, “non dovrebbe esimersi da una ricognizione dei fabbisogni impiantistici presenti nel Paese, su base regionale, quanto meno per le frazioni critiche del ciclo di gestione (RUR e FORSU)” ma anche “delineare un disegno di mercato/programmazione dotato di maggior chiarezza” e contenere “una valutazione critica dello stato dell’arte delle pianificazioni regionali, così da favorire un loro allineamento rispetto ai reali fabbisogni di gestione”.
Quanto alla Strategia, questa “dovrebbe annoverare al suo interno un quadro di maggior dettaglio relativamente alle risorse richieste in relazione agli interventi previsti e alle tempistiche”, scrive la Corte, suggerendo di attingere “al gettito delle imposte ambientali, pari nel 2020 a 50,2 miliardi di euro, ma di cui appena 11,3 miliardi risultano destinati a finalità ambientali”. Andrebbero poi semplificate le discipline del sottoprodotto e dell’end of waste, “rendendo agevole e chiaro il processo con cui i rifiuti cessano di essere tali, o evitano di venir così considerati” ma anche rafforzato lo strumento del GPP, per stimolare la domanda di materiali riciclati sul mercato. Un’occasione utile potrebbe venire proprio dalla terza riforma, quella del supporto tecnico alle autorità locali, finalizzata a rimuovere i potenziali colli di bottiglia che rallentano gli iter autorizzativi e gli appalti pubblici per la realizzazione di infrastrutture di gestione dei rifiuti, Entro il 30 giugno dovrà essere approvato il piano d’azione ‘Building Capacity’, proprio con l’obiettivo di creare capacità tecnica a sostegno delle amministrazioni locali, “specialmente nell’integrazione dei CAM e, dunque, del GPP all’interno delle procedure di gara”. Su questa riforma, osserva tuttavia la Corte, i flussi informativi “appaiono meno dettagliati” e necessiterebbero di “maggiore trasparenza” per rafforzarne “l’accountability e il monitoraggio”.
Una riforma non meno strategica delle prime due, visto che è anche dalla capacità tecnica delle amministrazioni locali che dipenderà la messa a terra degli interventi da finanziare con i 2,1 miliardi di euro che il PNRR dedica al settore. E che per il 60% dovranno essere destinati a progetti nelle regioni del Centro-Sud. Gli ultimi dati disponibili mostrano un valore delle richieste di 4,2 miliardi di euro per gli investimenti su raccolta e riciclo dei rifiuti urbani, a fronte di una dotazione di 1,5 miliardi. La quota di domande provenienti dalle Regioni del Sud si attesta ad 1,6 miliardi di euro, pari a circa il 110% della dotazione complessiva. Per i cosiddetti ‘progetti faro’ di economia circolare, invece, il valore delle richieste è di 1,6 miliardi di euro, rispetto ad una dotazione di 0,6 miliardi e la quota del Mezzogiorno è di 0,3 miliardi, corrispondenti a circa il 50% della dotazione.
A breve la commissione tecnica avvierà l’esame delle domande per selezionare i progetti, che andranno realizzati entro e non oltre il 2026. Una tabella di marcia che, scrive la Corte, impone “una capacità di ‘messa a terra”’ superiore a quella documentata nel ‘Rapporto 2021 sul coordinamento della finanza pubblica’ dalla Corte stessa. In quell’occasione, “la ricognizione operata su 1.841 opere relative alla gestione dei rifiuti urbani finanziate nel periodo 2012-2020, aveva restituito un grado di realizzazione pari al 20 per cento. Numeri, questi, che – si legge – impongono un deciso cambio di passo, se si vorranno rispettare gli impegni e le scadenze previste dal PNRR”: