Il disegno di legge sulla concorrenza approvato in Consiglio dei ministri taglia da 5 a 2 anni il vincolo contrattuale per le attività economiche che scelgano di consegnare i propri rifiuti urbani ad operatori privati fuoriuscendo dal perimetro del servizio pubblico
Non sarà l’abrogazione chiesta a gran voce dalle imprese ma una riduzione della durata del contratto da cinque a due anni per chi scelga di affidare i propri rifiuti urbani a operatori privati piuttosto che al servizio pubblico. Lo prevede l’articolo 12 del disegno di legge sulla concorrenza approvato oggi in Consiglio dei ministri. Il provvedimento, una delle riforme strutturali del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, prova così a sciogliere uno dei nodi generati dall’entrata in vigore del decreto legislativo 116 del 2020, che ha recepito la nuova direttiva europea sui rifiuti contenuta nel pacchetto economia circolare riscrivendo la definizione di rifiuto urbano e archiviando il meccanismo dell’assimilazione. Contestualmente, la nuova disciplina aveva riaffermato la piena libertà delle attività economiche che producono rifiuti simili di affidarne la gestione al di fuori del servizio pubblico, ottenendo riduzioni della parte variabile della tariffa rapportate alle quantità avviate a recupero.
Al momento però, il d.lgs. 116 prevede che le utenze non domestiche che ‘fuoriescano’ dal servizio pubblico debbano farlo “per un periodo non inferiore a cinque anni”. Una misura che gli operatori privati hanno da sempre bollato come lesiva della concorrenza e che è stata stigmatizzata anche dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato nel dossier consegnato al governo con i suggerimenti per l’elaborazione della legge annuale sulla concorrenza. “Al fine di non ostacolare la concorrenza tra i diversi operatori (privati e pubblico) del servizio di raccolta e avvio a recupero dei rifiuti estendendo impropriamente la privativa delle gestioni pubbliche – scriveva l’Agcm – si ritiene quindi necessaria l’eliminazione della durata minima quinquennale dell’accordo“.
Una posizione, quella dell’antitrust, che, se da un lato incontrava il favore delle imprese private, dall’altro aveva mandato su tutte le furie i comuni, che continuano a considerare il vincolo dei cinque anni come indispensabile a pianificare la gestione alla luce dei minori introiti Tari determinati dalla fuoriuscita delle utenze non domestiche dal servizio pubblico. Il governo, insomma, sembra pendere dalla parte degli amministratori locali, scegliendo di conservare il vincolo temporale e riducendo ad un periodo “non inferiore a due anni” la scelta delle utenze non domestiche “di servirsi del gestore del servizio pubblico o del ricorso al mercato”. Sempre all’articolo 12 del disegno di legge sulla concorrenza il governo accoglie un altro dei rilievi formulati dall’antitrust nella sua relazione, proponendo l’abrogazione della disposizione del Testo Unico Ambientale che prevede la partecipazione delle imprese di selezione alle negoziazioni per la definizione degli accordi di programma tra enti locali e consorzi per il riciclo dei rifiuti.