L’Italia si conferma al primo posto in Ue per economia circolare, ma il disaccoppiamento tra PIL e consumo di risorse resta lontano. Ronchi: “Il modello è vulnerabile, esposto alla volatilità di prezzi e approvvigionamenti”. Orlando: “Economia circolare è tutt’uno con la transizione energetica”
Bene il riciclo dei rifiuti, male il settore della riparazione, malissimo la lotta al consumo di suolo. Ferma da almeno cinque anni la quantità di energia prodotta da fonti rinnovabili, mentre l’innovazione sostenibile dei sistemi produttivi resta imbrigliata dai lacci e lacciuoli della normativa. L’Italia si conferma al primo posto nella classifica europea della circolarità, ma alle luci di un sistema storicamente vocato al recupero di materia dai rifiuti fanno da contraltare le ombre che ancora avvolgono la transizione verso un modello sempre più slegato dal consumo di risorse naturali. Che nel 2021, dopo la battuta d’arresto della pandemia, anche nel nostro Paese è tornato ad aumentare, di pari passo con il PIL e lontano dall’agognato disaccoppiamento. Complessivamente, si è passati da 145,5 a 161 milioni di tonnellate importate. L’importazione di metalli è cresciuta del 76%, quella di combustibili fossili dell’8%. “Un modello vulnerabile, altamente esposto alla volatilità dei prezzi e dell’approvvigionamento” ha dichiarato Edo Ronchi, presidente del Circular Economy Network presentando il quarto rapporto sull’economia circolare in Italia.
Sette gli indicatori utilizzati per misurare la circolarità dell’economia italiana, secondo la metodologia definita dalla Carta di Bellagio. Con il 68% di riciclo dei rifiuti l’Italia è il primo Paese in Ue, in crescita negli ultimi cinque anni. Il tasso di utilizzo di materia proveniente dal riciclo ha invece raggiunto il 21,6%, secondo solo a quello della Francia e ben dieci punti sopra la Germania. Numeri d’eccellenza che confermano la secolare attitudine del nostro Paese a trovare negli scarti le risorse che la natura non può offrire. Nel 2020 l’Italia ha generato 3,5 euro di PIL per ogni kg di risorse consumato, una produttività superiore del 60% rispetto alla media europea. Poi le dolenti note. L’Italia è seconda alla Spagna con il 18,2% di circolarità delle risorse energetiche, ma preoccupa il fatto che il trend sia fermo da cinque anni. Male il settore della riparazione, con 5mila aziende perse rispetto al 2010, peggio la lotta al consumo di suolo: a fronte di un generalizzato peggioramento in Ue, dove in media è coperto artificialmente il 4,2% dei terrenti, l’Italia è al 7,1%.
In chiaroscuro anche il rapporto tra produzione di rifiuti e consumo di materiali, che nel 2018 era al 35,4%, lontano dal 23,8% della Polonia “ma questo potrebbe essere collegato al quadro normativo, che tende a non valorizzare il ruolo dei sottoprodotti spingendo a classificare tutti gli scarti di produzione come rifiuti” ha osservato Ronchi. “Il problema dei sottoprodotti è che non riusciamo neanche a mapparli con precisione” ha aggiunto Marco Ravazzolo di Confindustria, secondo cui in Italia “c’è ancora la cultura del ‘tutto rifiuto è meglio’. Bisogna pensare alla possibilità di creare piattaforme nazionali” ha spiegato. Del resto, secondo Roberto Morabito di Enea, supportare le imprese nell’adozione di pratiche di simbiosi industriale, ovvero quei processi che consentono agli scarti di un’azienda di diventare risorse per un’altra, potrebbe tradursi in un consistente ritorno economico e ambientale. “Per ogni euro investito in un programma nazionale di sostegno alla simbiosi industriale – ha spiegato Morabito – si creerebbero 12 euro di vantaggi per le imprese, oltre a una riduzione di rifiuti da avviare a smaltimento per 208 kg e un taglio delle emissioni per 180 kg di CO2“.
“La crisi climatica e gli eventi drammatici degli ultimi due anni, con l’impennata dei prezzi di molte materie prime, dimostrano che il tempo dell’attesa è finito. È arrivato il momento di far decollare senza ulteriori incertezze le politiche europee a sostegno dell’economia circolare” ha dichiarato Edo Ronchi. Un’urgenza condivisa anche dalla Commissione europea, che solo pochi giorni fa ha presentato un pacchetto di proposte normative per spingere l’ecoprogettazione e la circolarità sul mercato dell’Unione, con riferimento particolare a settori chiave come tessile ed edile. “Con il nuovo pacchetto ci si pone l’obiettivo di raddoppiare il tasso di uso di circolarità dei materiali in Europa entro il 2030” ha spiegato Ronchi, con benefici economici e ambientali derivanti dal minor consumo di risorse naturali che l’Ue stima in 500 miliardi di euro di risparmi per le imprese e risparmi energetici per 132 milioni di tonnellate di petrolio equivalente.
Numeri che danno la misura di quanto investire in economia circolare significhi oggi non solo contribuire alla decarbonizzazione del sistema produttivo ma soprattutto investire nella resilienza delle nostre catene del valore. Quelle che dipendono dall’importazione di materie prime dall’estero e che oggi sono minacciate dai colpi della crisi globale degli approvvigionamenti, resi ancor più violenti dal deflagrare del conflitto in Ucraina. “Anche nella pandemia disporre di un patrimonio di conoscenze e competenze nell’economia circolare ha consentito a questo Paese di avere un livello di resilienza superiore agli altri” ha osservato il ministro del Lavoro Andrea Orlando, secondo cui “la realizzazione degli obiettivi di economia circolare è tutt’uno con la transizione energetica. Il problema non è solo quello di cambiare il mix energetico, ma di produrre diversamente e di produrre meno, grazie al riutilizzo di materia. La transizione energetica non si realizza solo attraverso più impianti di rinnovabili, ma anche attraverso più impianti di compostaggio“.
A proposito di impianti, sul piatto nel frattempo ci sono già i fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, 2,1 miliardi di euro, di cui 600 milioni dedicati proprio a progetti innovativi di economia circolare. A breve partirà la selezione delle proposte fatte pervenire da imprese ed enti locali. “Abbiamo ricevuto proposte per 5 volte il valore di ogni linea d’investimento – ha spiegato Laura D’Aprile, del Ministero della Transizione Ecologica – per un totale di 12 miliardi di euro“. Ma sul tavolo ci sono soprattutto i dossier delle due principali riforme di settore previste dal PNRR: la strategia nazionale sull’economia circolare e il programma nazionale di gestione dei rifiuti. “Sono il vero pilastro del PNRR, che porterà la visione strategica ben oltre il 2026, anno di messa a terra degli impianti” ha dichiarato D’Aprile.