Nucleare, il deposito nazionale potrebbe non arrivare prima del 2032

di Redazione Ricicla.tv 15/11/2023

Ascoltato dalla commissione ecomafie, il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin ha detto che il deposito nazionale dei rifiuti radioattivi potrebbe non entrare in esercizio prima del 2032, chiarendo che l’obiettivo resta quello di accelerare i tempi puntando sulle autocandidature. Un’ipotesi che ha incassato il plauso di ENEA, ISIN e SOGIN


Il deposito nazionale dei rifiuti radioattivi potrebbe non entrare in esercizio prima del 2032. Sempre che la procedura per l’individuazione della località che dovrà ospitarlo proceda senza intoppi. Cosa che difficilmente sarà, visto che delle 67 aree censite nella CNAPI (carta delle aree potenzialmente idonee) nessuna si è fin qui detta disposta ad accettare l’infrastruttura sul proprio territorio. Se anche a seguito della pubblicazione della CNAI – la versione definitiva dell’elenco, attualmente in fase di validazione – le aree interessate dovessero confermare il proprio no, a scegliere dovrebbe essere il governo. D’autorità. Un rischio che il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin punta a scongiurare. Cercando volontari. “Stiamo valutando di aprire a candidature da parte dei territori – ha detto ieri in audizione in commissione ecomafie – che potrebbero essere aggiunti alle località già individuate nella CNAI e valutate nel merito tramite procedura di VAS (Valutazione Ambientale Strategica, ndr)”. Secondo il ministro allo stato attuale il cronoprogramma prevede il rilascio dell’autorizzazione unica per l’opera entro il 2027 e l’entrata in esercizio nel 2032, “ma la mia intenzione è quella di accelerare questi tempi”, ha detto Pichetto, che spera nel soccorso di qualcuna delle località che resteranno fuori dalla CNAI, come ad esempio le aree militari dismesse.

Il deposito nazionale, che una volta completato potrà ospitare 90mila metri cubi di residui radioattivi a bassa e media attività generati dallo smantellamento delle ex centrali nucleari – ma anche dalle attività mediche, di ricerca e dall’industria – dovrà in primo luogo offrire una collocazione sicura ai 31mila metri cubi attualmente stoccati in una ventina di depositi temporanei. Senza dimenticare le 13 tonnellate di combustibile irraggiato conservate, in maniera piuttosto precaria, nelle piscine del deposito Avogadro di Saluggia in Piemonte. Avrebbero dovuto essere trasferite in Francia per essere riprocessate, ovvero trattate per separare le componenti esauste da quelle ancora utilizzabili, ma dal 2013 il governo di Parigi ha bloccato i trasporti nell’attesa di maggiori garanzie sui tempi di realizzazione del deposito nazionale. A partire dal 2025, infatti, dovrebbero rientrare in Italia i circa 50 metri cubi di residui vetrificati prodotti dal riprocessamento delle 235 tonnellate di combustibile inviate in Francia e delle 1630 spedite in Inghilterra. Il deposito nazionale dovrebbe ospitarli in via temporanea fino all’individuazione di uno stoccaggio di profondità europeo, ma tutto fa pensare che non saremo capaci di onorare gli accordi internazionali. E che quindi ci toccherà lasciare le scorie in Francia e Inghilterra e pagare salate penali. Da sommare agli oltre 230 milioni di euro già spesi per tenerle lì.

Il tema, insomma, oltre che di sicurezza ambientale e sanitaria, è anche economico e politico. Tanto più che ogni giorno di ritardo nella realizzazione del deposito incide sui tempi e sui costi dello smantellamento delle ex installazioni nucleari italiane. Per questo l’ipotesi di un’apertura alle autocandidature ha incassato il via libera di ENEA e ISIN (l’Ispettorato per la sicurezza nucleare), ma soprattutto quello di SOGIN, la società di Stato responsabile del decommissioning e della costruzione e gestione del futuro deposito nazionale. L’endorsement è arrivato ieri nel corso di un’audizione in commissione ambiente alla Camera sul disegno di legge, a firma Lega, che se approvato modificherebbe il procedimento per l’individuazione dell’area per il deposito allargando proprio a ulteriori autocandidature l’elenco delle località considerate come idonee. Proposta bocciata dal fronte delle associazioni ambientaliste, mentre per l’amministratore delegato di SOGIN Gianluca Artizzu si tratta di “un’ipotesi assolutamente percorribile sotto il profilo della sicurezza nazionale, ambientale e della radioprotezione”. Secondo Artizzu, una lettura ‘attualizzata’ della guida tecnica di ISPRA sui criteri di esclusione delle aree, utilizzata per censire le 67 località riportate nella CNAPI, consentirebbe infatti di individuare nuove zone. Come? Ad esempio escludendo dalla verifica di rispondenza alla guida tecnica la superficie che dovrebbe essere dedicata al parco tecnologico annesso al deposito. L’estensione dell’area idonea da ricercare passerebbe così da 150 a circa 80 ettari. “Applicando la guida tecnica solo a questi 80 ettari – ha spiegato Artizzu – si moltiplica statisticamente il numero dei siti esigibili”. Nella speranza che almeno uno di questi si faccia avanti per accogliere il deposito, sgravando così il governo dal più impopolare degli oneri: quello di scegliere d’autorità l’area sulla quale costruirlo.

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