Rifiuti tecnologici: in Italia pochi centri di raccolta e troppa illegalità

di Luigi Palumbo 04/01/2017

Distribuzione poco omogenea dei centri di raccolta, scarsa dimestichezza dei cittadini con le regole della differenziata, concorrenza sleale del mercato parallelo dei materiali da recupero. Questi i principali ostacoli al pieno sviluppo della filiera italiana della raccolta e dell’avvio a riciclo dei rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche (Raee), che dopo la pesante flessione registrata nel periodo 2010-2013, negli ultimi tre anni ha fatto segnare una crescita costante, passando dalle 231mila tonnellate raccolte nel 2014 ad oltre 260mila tonnellate nel 2016. Un aumento sensibile, tuttavia non sufficiente a centrare i nuovi, ambiziosi obiettivi fissati dall’Ue. Con contraccolpi sia ambientali che economici, vista la duplice natura di ogni Raee: una “miniera urbana” ricca di materiali riciclabili, ma anche un rifiuto pericoloso contenente sostanze potenzialmente dannose per l’uomo e l’ambiente.

I dati provvisori collezionati dal Centro di coordinamento Raee sull’andamento della raccolta nel 2016, permettono di prevedere con relativa sicurezza il superamento della soglia delle 260mila tonnellate (nel 2011 erano state 260mila 91), con un aumento del 14% rispetto al 2015 che dovrebbe portare a 4,3kg il peso pro capite dei Raee raccolti, al di sopra dell’obiettivo Ue dei 4kg da raggiungere entro il 31 dicembre 2015. Il problema però è che da quella data in poi sono scattati i nuovi obiettivi, introdotti in Italia con il decreto legislativo 49 del marzo 2014 che ha recepito la più recente direttiva europea in materia di Raee. Obiettivi rispetto ai quali non stiamo messi troppo bene. Stando alla nuova disciplina, infatti, a partire dal primo gennaio 2016 il target di raccolta dev’essere pari al 45% del peso medio delle apparecchiature elettriche immesse sul mercato nazionale nel triennio precedente, mentre nel 2019 si passerà al 65%. Utilizzando il vecchio metodo di calcolo, si legge nel rapporto “L’Italia del riciclo 2016, l’Italia avrebbe dovuto raccogliere «entro il 2016 circa 7,5 kg per abitante, passando poi ai 10kg entro il 2019». Quantità che al momento appaiono decisamente fuori dalla portata del sistema italiano.

«Anche se gli sforzi intrapresi non saranno probabilmente sufficienti a raggiungere l’obiettivo del 45% della media dell’immesso degli ultimi tre anni assegnato dalla direttiva europea, sicuramente è stata intrapresa una strada assai positiva verso questa crescita» dichiara Giancarlo Dezio, presidente del Cdc Raee. La strada intrapresa insomma è quella giusta, ma di ostacoli lungo il cammino ce ne sono ancora parecchi. Primo fra tutti, l’insufficiente dotazione di centri di raccolta nelle Regioni del Centro-Sud. Stando agli ultimi dati resi disponibili dal Cdc Raee, dei 3906 centri attivi in Italia nel 2015, 2432 erano al Nord, 625 al Centro e 849 tra Sud e Isole. Non deve sorprendere dunque il fatto che nel 2015 la raccolta pro capite sia andata dai 5,14kg del Nord ai 4,05kg del Centro ai 2,65kg del Sud (unica eccezione la Sardegna con 5,83kg). Significativo il dato sul raggruppamento R4, quello dei piccoli elettrodomestici come phon, tablet, computer e smartphone. Nel 2015 il Trentino, Regione con il maggior numero di centri di raccolta per abitante (1 ogni 5000) ha raccolto una quantità pro capite di piccoli Raee dieci volte superiore (1,80kg rispetto a 0,19kg) a quella della Sicilia, che è invece la Regione con il minor numero di Centri per ogni abitante (1 ogni 54mila).

Alla scarsità di infrastrutture per il conferimento dei Raee si associa poi spesso l’altrettanto scarsa attitudine dei cittadini ad una gestione corretta dei propri elettrodomestici a fine vita. Ancora una volta l’anello debole della catena è rappresentato dai piccoli Raee, che troppo spesso finiscono nel cassonetto invece di prendere la strada del riciclo o anche solo del corretto trattamento. Con il rischio che sostanze pericolose come piombo, mercurio e cadmio finiscano in discarica o in inceneritore e, di lì, si disperdano nell’ambiente. Secondo stime del Consorzio Ecolight, ogni anno meno del 20% dei piccoli Raee viene raccolto correttamente. Anche per questo, lo scorso luglio, è entrata in vigore la disciplina sul cosiddetto conferimento “1 contro 0”, ovvero la possibilità per i cittadini di consegnare gratuitamente i piccoli elettrodomestici ai punti vendita della grande distribuzione organizzata, senza obbligo d’acquisto di un prodotto equivalente. Perchè la misura entri a pieno regime, però, occorrerà aspettare ancora del tempo. Un’attesa da impegnare lavorando sul fronte della comunicazione al cittadino. «È fondamentale investire risorse per informare e sensibilizzare i cittadini sull’importanza di differenziare correttamente i rifiuti tecnologici – dice Giuseppe Abbenante, presidente della Commissione Raee di Utilitalia – bisogna partire dalla veicolazione delle informazioni di base sul territorio, spiegando con un linguaggio semplice e diretto che cosa sono i Raee e le regole per conferirli correttamente».

A sfuggire al sistema ufficiale di trattamento, però, non sono solo i Raee che finiscono nel cassonetto, ma anche quelli smantellati dolosamente nei Centri di raccolta o intercettati dal mercato parallelo. Soprattutto in corrispondenza di congiunture di mercato favorevoli per materiali facilmente rivendibili come rame, acciaio e alluminio. Quello dei furti nelle aree di raccolta, spiega Abbenante, è «un fenomeno purtroppo diffuso su tutta la Penisola ed alimentato dal valore di alcuni componenti che possono essere recuperati come ad esempio i compressori per i frigoriferi dismessi. Le aziende si stanno attivando con sistemi di sorveglianza e di sicurezza collegati con le forze dell’ordine ma il persistere di questo fenomeno porta ad un depauperamento del materiale raccolto». Senza contare i Raee che risultano già “cannibalizzati” al momento del conferimento. Delle circa 5317 segnalazioni di anomalia pervenute nel 2015 al Cdc Raee dai titolari dei Centri di raccolta, ben 4487 riguardavano la presenza di Raee danneggiati e/o privi di componenti essenziali. L’84% del totale. Un doppio danno per i gestori dei Centri di raccolta, sia pubblici che privati, che oltre a doversi sobbarcare l’onere di avviare a trattamento Raee ormai privi delle componenti di maggior valore, possono anche vedersi negati i premi di efficienza previsti dall’accordo di programma siglato nel 2008 tra Anci e Cdc Raee.

Accanto ai Raee “cannibalizzati” ci sono poi quelli che sfuggono alla rete dei Sistemi collettivi dei produttori e finiscono per alimentare il mercato parallelo, grazie alla connivenza di commercianti, ditte di installazione e manutenzione, trasportatori (spesso semplici rigattieri) e gestori di impianti al limite della legalità. Una zona grigia fatta di smaltimenti abusivi, esportazioni illegali verso i Paesi del Sud Est asiatico e dell’Africa, o anche solo trattamenti non ottimali in impianti che, sebbene in possesso di regolare autorizzazione, non rispettano gli standard nazionali e comunitari di tutela ambientale e di riciclo. Fenomeno, quest’ultimo, che riguarda soprattutto i raggruppamenti R1 ed R2, quelli dei grandi elettrodomestici come frigoriferi, lavastoviglie e lavatrici, dai quali le componenti pericolose vengono separate in maniera sommaria (causando ad esempio la dispersione in atmosfera dei gas refrigeranti contenuti nei frigoriferi), e dei quali vengono recuperate solo le parti immediatamente monetizzabili come rame e ferro, mentre tutto quanto resta, comprese frazioni riciclabili come plastica e vetro, viene smaltito. Non di rado in vere e proprie discariche abusive.

Anche in questo caso il danno non è solo ambientale ma economico, visto che operare al di sotto degli standard di legge permette agli attori del “canale informale” di offrire prezzi di gran lunga più vantaggiosi di quelli offerti dagli impianti del sistema ufficiale coordinato dal Cdc e dai Sistemi collettivi dei produttori. Impianti che, come se non bastasse, devono fare i conti anche con l’incertezza generata dalle oscillazioni dei valori di mercato delle materie prime seconde recuperate. E così, nelle more dell’emanazione dell’atteso decreto con il quale ormai già da due anni e mezzo il ministero dell’Ambiente avrebbe dovuto introdurre standard obbligatori di recupero per tutti gli impianti operanti sul territorio nazionale, il Centro di coordinamento e le principali associazioni di categoria che rappresentano le aziende di trattamento hanno sottoscritto un Accordo di programma per garantire standard di qualità elevati a tutela dell’ambiente e della corretta concorrenza tra le imprese.

«Negli ultimi mesi il Centro di Coordinamento ha lavorato assiduamente a una serie di attività che consentano di rendere operative le previsioni contenute nell’Accordo sul Trattamento dei Raee – racconta Sara Mussetta, membro della segreteria tecnica del Cdc Raee – definizione di documenti di approfondimento, aggiornamento e sviluppi del portale con funzionalità dedicate ai nuovi servizi, formazione specifica, teorica e pratica, di 19 Auditor appartenenti a 3 Enti di Certificazione incaricati di effettuare gli accreditamenti. Grazie a questi interventi, gli impianti hanno già potuto indicare la propria volontà di continuare a operare all’interno delle regole del sistema e sono già attivi e utilizzati i servizi per l’organizzazione delle visite presso gli impianti che intendono rinnovare l’accreditamento».

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