TARI 2024, il governo scioglie solo in parte il nodo dei tempi

di Luigi Palumbo 29/04/2024

Il governo interviene per posticipare al 30 giugno il termine ultimo per l’adozione di PEF e TARI, ma la proposta di emendamento al decreto superbonus scioglie solo in parte i nodi per i Comuni in ritardo. Che per deliberare dovranno attendere l’entrata in vigore del provvedimento e che dovranno in ogni caso far fronte ai rincari determinati dagli strascichi della querelle sugli ‘impianti minimi’


A un giorno dal termine ultimo per l’approvazione delle delibere comunali TARI e dei PEF da parte degli enti competenti, fissato dalla legge al 30 aprile, resta grande la confusione tra gli enti locali alle prese con i nodi di un adempimento quest’anno più caotico che mai. L’intervento in extremis del governo per rinviare la scadenza al 30 giugno, con un emendamento al decreto sui bonus edilizi depositato la scorsa settimana in commissione finanze del Senato, al momento risponde infatti solo in parte agli appelli lanciati nelle scorse settimane dall’ANCI.

La modifica della scadenza, che potrebbe essere votata in commissione già domani, sarà sì utile per “dare un segnale” agli enti locali, come sottolineato nei giorni scorsi dal presidente della commissione finanze Massimo Garavaglia, ma potrà fare poco di più. Perché l’intervento possa acquisire forza di legge, infatti, occorrerà comunque aspettare la conversione del decreto, quindi il completamento dell’iter in Senato e il successivo passaggio alla Camera per l’approvazione definitiva entro il 28 maggio. Ciò significa che tutte le TARI deliberate dopo la scadenza del 30 aprile e prima dell’entrata in vigore della conversione del decreto sui bonus edilizi potrebbero essere impugnate, in quanto formalmente, seppur temporaneamente, illegittime.

Proprio per scongiurare il rischio di un limbo amministrativo ANCI aveva proposto un emendamento che, una volta in vigore, avrebbe salvato, agendo da vera e propria sanatoria, tutte le tariffe approvate entro il termine del 30 giugno 2024, mentre nella sua formulazione l’emendamento del governo si limita invece a un semplice rinvio della scadenza senza chiarire cosa succederà ai Comuni che dovessero deliberare nel frattempo. Le amministrazioni in ritardo dovranno quindi in ogni caso attendere la conversione in legge del decreto ‘superbonus’, cosa che mette in difficoltà i Comuni che l’8 e 9 giugno prossimi andranno al voto, amplificando il clima di incertezza che ruota attorno al regime tariffario per i rifiuti urbani e che secondo ANCI quest’anno ha reso impossibile per gli enti territorialmente competenti rispettare la scadenza del 30 aprile.

La causa principale, come scriveva l’associazione in un appello lanciato al governo nelle scorse settimane, sta nelle complicazioni per la redazione dei PEF generate dalle richieste di compensazione avanzate dai gestori degli impianti che tra 2022 e 2023 erano stati qualificati come ‘minimi’, dopo lo stop imposto dal Consiglio di Stato al meccanismo di ARERA e la sua successiva riattivazione per i soli anni 2024 e il 2025. Richieste che andrebbero a pesare sulle tariffe, sommandosi ai rincari dettati dall’aumento dei costi materiali del servizio e alle nuove, seppur marginali, componenti perequative per i rifiuti pescati e gli eventi calamitosi. Motivo per cui, oltre alla proroga, ANCI aveva chiesto al governo anche un intervento tampone per alleggerire i PEF dalle richieste di compensazione sulle tariffe degli ‘impianti minimi’. Appello al quale tuttavia non è ancora stata data risposta.

Di fronte ai sensibili incrementi dei costi complessivi del servizio, in assenza di una proroga o nelle more della sua entrata in vigore, a poco o niente potrebbe servire il meccanismo di tacito rinnovo delle tariffe 2023, che si rivelerebbero comunque inadeguate a coprire i costi del 2024, costringendo i Comuni a fare i conti con l’ennesimo disequilibrio di bilancio. Serve una proroga, insomma, e non è detto che un rinvio del termine a fine giugno possa bastare, soprattutto per i Comuni che all’inizio del mese saranno chiamati alle urne per rinnovare i propri consigli e che entro la nuova scadenza potrebbero non riuscire a convocare l’assemblea per deliberare le tariffe.

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