Tari: lieve calo per le imprese, ma ancora troppe disparità

di Giovanni Paone 04/10/2016

Leggera inversione di tendenza per la tassa rifiuti: dopo i continui aumenti che negli ultimi 15 anni ne hanno visto praticamente raddoppiare l’impatto economico, per il 2016 si registra finalmente una contrazione fino all’1% rispetto all’anno scorso. A rivelarlo, una settimana dopo la diffusione dei dati Federconsumatori sul caro Tari per le famiglie italiane, è uno studio realizzato dal laboratorio sui servizi pubblici locali di Ref Ricerche per il Sole24Ore e dedicato alla tariffazione degli esercizi commerciali. Da sempre nota dolente per le imprese italiane, l’imposta sui rifiuti nelle sue varie declinazioni (da Tarsu a Tari, appunto, passando per Tia e Tares) sembrerebbe aver registrato un assestamento, ma la frammentazione e le disparità territoriali – legate a doppio filo con le scelte degli enti locali – continuano a fare dei dati medi poco più che mere indicazioni “simboliche”.

La ricerca analizza la variazione annua dei costi dell’imposta per 4 categorie principali di attività su base nazionale: alberghi (-0,5%), ristoranti (-1%), industrie alimentari (+0,7%) e supermercati (invariati sul 2015). Su base macroregionale, invece, il Nord si conferma l’area con le tariffe complessivamente più convenienti, il Sud si assesta grosso modo sulla media nazionale mentre è il Centro Italia l’area dove il costo per metro quadro della Tari risulta più oneroso.

grafico_tariffe

fonte: http://www.ilsole24ore.com/art/impresa-e-territori/2016-09-30/rifiuti-tante-italie-tari-092223.shtml?uuid=ADhfFrTB

 

Ma la frammentazione di cui sopra continua ad essere un fattore impossibile da ignorare e che riconsegna queste valutazioni più ad una categoria statistica che a quella di un’incoraggiante inversione di tendenza, come fa notare lo stesso Donato Berardi, direttore del laboratorio sui servizi pubblici locali di Ref, attraverso un caso esemplare a commento del lavoro del suo centro studi. «I cali sono riferiti alle medie nazionali – sottolinea Berardi – quest’anno, per esempio, per un ristorante a Lecce la spesa cala di un quarto, mentre per un’azienda alimentare a Bergamo cresce del 40%».

In questo senso tra le amministrazioni che hanno fatto pesare di più la quota variabile della tariffa spicca il caso dell’Aquila, con un aumento addirittura oltre il 18%. Capitale d’Italia anche per il caro Tari è sempre Roma, che anche dopo un calo percentuale del 2% sulle tariffe continua a far pagare – ad esempio – 11 euro al metro quadro un hotel contro i 4,4 di Milano, o 42,2 euro ad un ristorante in pieno centro a fronte dei 28 del capoluogo meneghino. Una casistica che alla prova dei fatti evidenzia come le amministrazioni più care siano quelle meno efficaci nella gestione ordinaria; dunque a maggiori costi – paradossalmente – corrispondono quasi sempre servizi peggiori.

L’avvento dell’Authority sui rifiuti potrebbe aiutare a standardizzare i servizi: il passo successivo sarebbe quello di diversificare gli oneri in funzione di quantità e qualità dei rifiuti prodotti. In altre parole i dati della ricerca pubblicata dal quotidiano della Confindustria hanno tutta l’aria di formulare un appello piuttosto chiaro al legislatore per riformare ed uniformare una volta per tutte una tariffa che così com’è finisce per determinare – soprattutto per le imprese – un’insostenibile discriminazione territoriale.

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