Mauro Delle Fratte
05/06/2020

Acque reflue, Vaccari: “Oltre due miliardi per chiudere le infrazioni europee”

Ultimo aggiornamento: 4 Giugno 2020 alle 16:06

“Siamo arrivati a questo punto a causa dell’inadempienza delle istituzioni che erano state delegate, assieme alle aziende di gestione del ciclo delle acque, a occuparsi di pianificare gli interventi necessari. Oggi ci auguriamo di poter contare sulla collaborazione di tutti, soprattutto in alcune parti del Paese”. Lo ha dichiarato il neodesignato subcommissario alla depurazione delle acque Stefano Vaccari nel corso del talk in diretta web “Acque reflue, dall’infrazione all’innovazione” andato in onda oggi su Ricicla.tv. Ben quattro le procedure europee d’infrazione aperte ai danni dell’Italia per irregolare trattamento dei reflui in centinaia di agglomerati urbani da Nord a Sud della Penisola, due delle quali sono già giunte a sentenza definitiva costando ogni anno all’Italia salatissime sanzioni. “Paghiamo ogni anno circa 60 milioni di euro in sanzioni comunitarie- ha detto Vaccari, ricordando che – oggi per completare il lavoro sugli agglomerati in infrazione nelle due procedure arrivate a sentenza definitiva la struttura commissariale ha a disposizione circa 2 miliardi e 176 milioni di euro, risorse alle quali potrebbero aggiungersene altre con la finanziaria 2020″.

Complessivamente, all’alba del mandato del nuovo commissario Maurizio Giugni, gli agglomerati relativi alla prima procedura di infrazione si sono ridotti da 109 a 74; mentre per la seconda infrazione giunta a sentenza sono stati sanati 27 siti irregolari su 41 (restano così 14 le aree su cui è necessario ancora intervenire); appare in miglioramento anche la situazione che riguarda il parere motivato (2059/2014), che ha visto passare il numero degli agglomerati in infrazione da 879 a 620. Alle tre “storiche” procedure d’infrazione si è recentemente aggiunta una quarta, la 2017/2181, ancora all’inizio dell’iter procedurale: la Commissione europea ha inviato una lettera di costituzione in mora con cui richiede informazioni in merito ad ulteriori 276 agglomerati. Una molteplicità di casi di infrazione che ha tra le sue cause l’estremo livello di frammentazione che per decenni ha caratterizzato la governance del ciclo delle acque su tutto il territorio nazionale. “La frammentazione e la proliferazione di piccoli soggetti gestori – spiega Alessandro Reginato, direttore della depurazione del Gruppo Cap – porta a limitazioni strutturali e di governance, disperdendo risorse e livellando al ribasso la concorrenza, ma soprattutto rende impossibile attrarre competenze evolute, indispensabili se si vuole puntare su tecnologie innovative e cicli di trattamento sempre più efficienti e sostenibili”.

Ma chiudere le infrazioni europee migliorando la qualità della depurazione delle acque significherà anche e soprattutto produrre più fanghi, cosa che renderà necessario un cambio di passo rispetto alle attuali modalità di gestione, dominate dal ricorso allo smaltimento in discarica. “Nel 2018 in Italia la produzione annua si è avvicinata a 3 milioni di tonnellate – ha detto Tania Tellini, coordinatrice del Settore Acqua di Utilitalia, intervenendo al webinar – nello stesso anno i fanghi smaltiti sono stati il 56,3% e solo il 43,7% sono stati recuperati: è evidente la necessità di incrementarne il recupero, anche per raggiungere gli obiettivi posti dall’Europa sul ricorso alla discarica”, ha ricordato Tellini, sottolineando le molteplici modalità di recupero dei fanghi: utilizzo in agricoltura, compostaggio, digestione anaerobica, produzione di gessi e carbonati di defecazione, coincenerimento, incenerimento con recupero energetico. “I fanghi – ha aggiunto – contengono inoltre fosforo, che è una materia prima critica non rinnovabile che non possiamo permetterci di smaltire senza recuperare. C’è quindi un sistema complesso per valorizzare questa risorsa in ottica di ‘urban mining’ che necessita di una normativa stabile e certa che, superando l’attuale norma che ha 28 anni, il D.L.gs 99/92, e le sentenze tra le quali districarsi, consenta agli operatori di investire, collocando correttamente il trattamento dei fanghi nella transizione verso l’economia circolare e nella lotta ai cambiamenti climatici”.

Che le acque reflue siano una miniera di materiali da recuperare lo sa bene Francesco Fatone, professore ordinario dell’Università Politecnica delle Marche, membro del comitato tecnico scientifico di Ecomondo nonché coordinatore del progetto europeo SMART-Plant, iniziativa finanziata dal programma Horizon 2020 della Commissione Ue nell’ambito della quale sono state sviluppate una serie di tecnologie innovative, le “Smartech”, che permettono il recupero dai reflui su scala industriale di elementi preziosi come cellulosa, fosforo e biopolimeri, oltre ad abbattere i consumi energetici dei processi di depurazione. “Dobbiamo trasformare i nostri impianti di depurazione in ‘living lab’, laboratori diffusi capaci di creare innovazione sistemica e accelerare il passaggio dai progetti di ricerca alla policy. Questo – spiega Fatone – è uno dei temi sui quali stiamo lavorando nell’ambito del tavolo sulla bioeconomia istituito presso il Ministero dell’Ambiente, con l’obiettivo, tra gli altri, di creare i presupposti perché il rilancio post-Covid sia orientato nella direzione della sostenibilità e dell’innovazione. A patto di agire in un quadro legislativo e regolatorio più chiaro di quanto non sia quello attuale”.

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