Luigi Palumbo
15/07/2021

Dagli impianti alla governance: la transizione ecologica della Campania dei rifiuti

Ultimo aggiornamento: 11 Luglio 2021 alle 23:07

Dal progetto Uprise per il revamping ‘intelligente’ degli impianti Stir alle sfide della nuova governance regionale: ecco come la Campania dei rifiuti punta all’autosufficienza. Anche grazie ai fondi del Pnrr

Costruire nuovi impianti e rendere più ‘intelligenti’ quelli già esistenti, rafforzare la governance, consolidare la partnership tra gestori pubblici e operatori privati. Sono queste le tre direttrici che guideranno il percorso della Campania dei rifiuti urbani dall’infrazione all’innovazione, dall’emergenza all’economia circolare. Obiettivo: arrivare alla chiusura del ciclo entro i prossimi 2 anni, archiviando la stagione delle sanzioni europee e della dipendenza da impianti di recupero e smaltimento in altre regioni o altre nazioni. «Puntiamo entro dicembre del 2023 a non portare rifiuti differenziati o indifferenziati fuori dalla nostra regione. È un obiettivo ambizioso, sul quale siamo già al lavoro» dice l’assessore regionale all’ambiente Fulvio Bonavitacola.

E la misura dell’ambizione è ben restituita dai numeri, che sottolineano quanto ancora oggi il ciclo si regga in equilibrio sul filo sottile dei conferimenti agli impianti fuori regione e come il rischio di nuove emergenze sia sempre dietro l’angolo. Stando all’ultimo report regionale, tra frazioni differenziate, prevalentemente organico, e indifferenziate, nel 2019 la Campania ha spedito fuori dai propri confini circa 800mila tonnellate di rifiuti. Con costi ambientali, le emissioni legate al trasporto, ma anche economici, quelli della logistica, ai quali si sommano le sanzioni europee: 120mila euro al giorno per la mancanza di impianti, per un totale che ad oggi ammonta a oltre 200 milioni di euro già versati nelle casse di Bruxelles. Ecco perché nei piani della Regione Campania per la chiusura definitiva del ciclo trova terreno fertile Uprise, il piano di revamping impiantistico disegnato da Sapna, la società ambientale della Città Metropolitana di Napoli, per trasformare i due impianti Stir di Giugliano e Tufino in fabbriche dei materiali capaci di ridurre le quantità di rifiuto indifferenziato da avviare a smaltimento e aumentare le performance di recupero delle frazioni valorizzabili. «Abbiamo immaginato di rifunzionalizzare i due impianti, che hanno svolto un’egregia funzione negli ultimi venti anni, migliorandoli in termini di recupero di materia, efficientamento energetico e abbassamento dei costi di gestione» spiega il direttore tecnico di Sapna, Domenico Ruggiero.

Anche in questo caso, prima di scendere nel dettaglio tecnico, per comprendere la portata dell’intervento è utile partire dai numeri. Ogni anno i due Tmb di Sapna lavorano circa 420mila tonnellate di rifiuto indifferenziato, limitandosi per il momento a separarle in una parte secca, da avviare a incenerimento, e una parte umida da smaltire in discarica. Frazioni che gli impianti regionali non riescono però ad assorbire per intero: nel solo 2020 Sapna ne ha esportate 292mila tonnellate, 127 mila delle quali all’estero, con un costo compreso tra i 180 e i 195 euro a tonnellata e uno spaventoso contrappeso in termini di emissioni climalteranti. «Complessivamente i nostri rifiuti hanno percorso 2,7 milioni di chilometri – spiega Ruggiero – emettendo circa 1700 tonnellate di CO2. Per intenderci, è come se ogni anno rilasciassimo in atmosfera 37 autotreni carichi di anidride carbonica solo per portare gli scarti al di fuori della Campania». «Il progetto di Sapna, al quale stiamo collaborando – aggiunge Bonavitacola – si inscrive appieno nei nostri piani. Gli Stir sono impianti utili ma un po’ ‘stupidi’, perchè non fanno altro che separare l’indifferenziato in secco e umido. Devono diventare più intelligenti, recuperando materia, diminuendo l’ammontare dell’indifferenziato e quindi contribuendo al raggiungimento dell’autosufficienza».

Per rendere più ‘intelligenti’ i due Stir Uprise prevede da un lato nuove linee di lavorazione dell’indifferenziato, con una selezione spinta supportata da tecnologie di selezione ottica, per recuperare i materiali riciclabili come plastica, carta e metalli, e dall’altro la stabilizzazione della parte putrescibile, da trasformare in un terreno tecnico per la ricomposizione ambientale di cave dismesse e la copertura finale delle vecchie discariche regionali. In aggiunta, altre due linee di lavorazione dedicate all’organico da raccolta differenziata produrranno compost e biometano. Il tutto con un risparmio, rispetto agli attuali costi di gestione, stimato da Sapna tra i 30 e i 50 milioni di euro, e una riduzione del volume dei rifiuti diretti ad incenerimento dalle attuali 300mila tonnellate a 186mila o addirittura a 120mila, che troverebbero spazio per intero nel termovalorizzatore di Acerra, rendendo dunque non più necessario il ricorso alle esportazioni. «Con questo progetto Sapna ribadisce la propria centralità nel ciclo regionale dei rifiuti – dichiara Gabriele Gargano, amministratore unico della società – contribuendo finalmente ad affrancare la Campania dall’annosa problematica delle esportazioni fuori regione».

Circa 70 invece i milioni necessari a mettere in piedi il progetto, che Città Metropolitana di Napoli e Regione Campania puntano a far valere sui fondi che il Piano nazionale di ripresa e resilienza destinerà al capitolo rifiuti ed economia circolare, pari a 2,1 miliardi di euro. Del resto, tra gli obiettivi del Pnrr c’è proprio quello di allineare le regioni in maggiore difficoltà, soprattutto quelle del Centro-Sud, agli ambiziosi target europei sull’economia circolare: 65% di riciclo e 10% massimo di smaltimento in discarica dei rifiuti urbani entro il 2035. «Il piano di opere che abbiamo presentato al governo per accedere ai finanziamenti pubblici del Pnrr – commenta Luigi de Magistris, sindaco della Città Metropolitana di Napoli – renderà ancor più efficaci i siti di Tufino e Giugliano. Abbiamo davanti la sfida della tecnologia, della difesa del territorio e anche del lavoro, perché riciclando e riutilizzando si crea occupazione. La collaborazione istituzionale tra tutti i soggetti coinvolti sta dimostrando che pur tra difficoltà economiche, normative e amministrative, si può cambiare rotta in maniera virtuosa».

Una sfida, quella per l’autosufficienza in Campania, che rappresenta il primo, vero banco di prova per la nuova governance, ora che a valle del lungo e delicato processo di riforma partito nel 2016 le chiavi dell’intero ciclo regionale stanno progressivamente passando ai sette neonati Enti d’Ambito, responsabili della gestione in forma associata per tutti i comuni del territorio di competenza. «Una nuova organizzazione – spiega Raffaele Del Giudice, presidente dell’Ato Napoli 1 – con economie di scala garantite dal coordinamento tra i comuni secondo quanto stabilito dai piani d’ambito era il vero anello mancante del ciclo, insieme a quello degli impianti. Ora c’è un grande sforzo da compiere in termini di formazione ed esecuzione: formazione verso i cittadini, che devono conoscere e avvicinarsi alla materia, e di esecuzione perché dobbiamo sfruttare bene le occasioni che arriveranno con i finanziamenti europei».

Ma il piano per la chiusura del ciclo regionale passa anche per il rafforzamento della partnership tra gestori pubblici e operatori privati. A partire da A2A, che dal 2009 è responsabile dell’impianto di termovalorizzazione di Acerra: 700mila tonnellate di rifiuti l’anno trasformati in energia elettrica per le famiglie campane. Senza intaccare, e anzi accompagnando e integrando le buone performance di raccolta differenziata. «Siamo passati dal 30% nell’anno dell’attivazione a oltre il 52% – commenta Simone Malvezzi, responsabile impianti di A2A – l’impianto ha sempre svolto un ruolo fondamentale, dando un contributo costante all’ottimizzazione del ciclo. È un impianto utile, non inquina, e resterà un tassello centrale anche negli anni che verranno».

Insomma, i progetti (e la volontà politica) per i nuovi impianti ci sono, la governance pure e non mancano affidabili partner privati. Che sia la volta buona per archiviare definitivamente il capitolo emergenze e puntare con decisione agli ambiziosi obiettivi europei di economia circolare? «Credo di sì», commenta Daniele Fortini, presidente di Retiambiente e membro del cda di Asia Napoli. Uno che le alterne vicende del ciclo dei rifiuti in Campania le segue da vicino sin dagli anni più bui della crisi, quando i sacchetti in strada arrivavano ai primi piani dei palazzi. Scene che grazie al Pnrr e alle riforme connesse al Piano, da quella sulle semplificazioni ambientali all’annunciato Programma nazionale di gestione dei rifiuti, la regione potrebbe riuscire a relegare finalmente nel passato. «Serviva una spinta. Non fatta solo di denaro, ma anche di snellimenti burocratici, di sostegno culturale e di programmazione a livello nazionale ed europeo. Tutto questo oggi c’è – aggiunge – e rappresenta l’occasione buona per completare un percorso cominciato tanti anni fa, affrancando la Campania dai condizionamenti esterni ma soprattutto rendendola protagonista nel circuito dell’economia circolare».

1 Commento su "Dagli impianti alla governance: la transizione ecologica della Campania dei rifiuti"

  1. Domenico ha detto:

    Stiamo lavorando da anni tra mille difficoltà, emergenze e imprenditori dei rifiuti che hanno lucrato ben oltre il dovuto, ma questa è la strada giusta, la sinergia Istituzionale era il tassello mancante.
    Un doveroso ringraziamento va ai lavoratori del settore, di Sap.Na. in particolare, un pensiero a quanti sono caduti sul lavoro per mancanza di sicurezza, la speranza che diventi centrale nei progetti di ristrutturazione degli inpianti.

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