Troppi i comuni che gestiscono il servizio rifiuti urbani in forma autonoma, mentre solo il 2,4% delle gestioni risulta integrato su tutte le attività del ciclo. I ritardi del sistema italiano sottolineati da Arera nella relazione annuale sull’attività di regolazione
Un settore caratterizzato “da un’elevata frammentarietà della governance e del servizio lungo la filiera e dall’assenza di condizioni infrastrutturali e organizzative omogenee tra le diverse aree geografiche del Paese”. Questo il ritratto dell’Italia dei rifiuti urbani tracciato nella 25esima relazione annuale di Arera, l’authority per i servizi idrici, energetici e ambientali. Crescono gli operatori iscritti all’anagrafica dell’autorità, erano 7mila 470 al maggio 2021, in aumento del 14% sull’anno precedente. Di questi, spiega Arera, 7mila 253 sono iscritti come gestori, nell’87,4% dei casi Enti pubblici e nel 12,6% con diversa natura giuridica. Ma il dato più allarmante è quello sulla governance, che conferma lo storico ritardo nel processo di riordino degli assetti gestionali del servizio: su un totale di 3mila 523 enti territorialmente competenti, responsabili della definizione dei piani economico finanziari e delle tariffe, il 98% è rappresentato da Comuni, mentre sono poco meno di 60 gli enti di governo d’ambito.
Alla frammentazione della governance si associa quella del servizio: dei gestori accreditati, nell’87,4% dei casi rappresentati da enti pubblici, solo il 2,4% risulta integrato su tutte le attività del ciclo. Nel 70,1% dei casi viene svolta una singola attività, quasi esclusivamente quella di gestione delle tariffe, mentre nell’ambito dei gestori che si sono accreditati per due o più attività, invece, la combinazione più frequente si osserva fra quelli che hanno dichiarato l’attività di spazzamento strade e di gestione tariffe e rapporti con gli utenti (51,1%), seguiti da quelli che svolgono, oltre a queste, anche l’attività di raccolta e trasporto (19,3%).
In chiaroscuro anche il bilancio del primo periodo di applicazione del metodo tariffario unificato (il cosiddetto MTR) funestato dall’emergenza pandemica. “La prima disciplina varata dall’Autorità – si legge – è stata adottata nell’ottobre del 2019 e se ne prevedeva l’applicazione entro il primo quadrimestre dell’anno successivo; tuttavia, la pandemia di Covid-19 ha portato a un repentino cambio di scenario” spiega Arera, soprattutto per effetto delle proroghe delle scadenze relative alla determinazione della Tari, che hanno indotto molti enti competenti “a inviare le predisposizioni tariffarie all’Autorità nel corso dei primi mesi del 2021”. E visto che le singole predisposizioni poi a loro volta devono essere valutate e ratificate da Arera, l’effetto ‘collo di bottiglia’ è stato praticamente impossibile da evitare. Tant’è che l’authority ammette di stare raccogliendo “alla data di stesura di questa Relazione Annuale, predisposizioni tariffarie dal mese di luglio dello scorso anno“, mentre le predisposizioni approvate hanno riguardato appena 84 ambiti tariffari, per circa 6 milioni e mezzo di abitanti residenti in 175 comuni.
Le difficoltà del contesto, chiarisce però Arera, “non si sono tradotte in significative carenze nell’invio degli atti previsti”. Complessivamente, infatti, sono circa 5mila 500 le predisposizioni tariffarie fatte pervenire all’authority in relazione all’anno 2020, trasmesse da oltre 2mila 860 enti territorialmente competenti per una copertura di circa 48 milioni di abitanti. Una mole di atti che ancora una volta, secondo Arera, dimostra quanto siano ancora troppi i comuni che gestiscono il servizio in forma autonoma e non, come chiede la legge, associandosi nella forma degli enti di governo d’ambito. “Un processo di organizzazione territoriale del servizio che, alla luce delle previsioni della normativa vigente, risulta essere ancora largamente incompleto“.