Luigi Palumbo
23/03/2022

Rottami, la minaccia turca spinge il governo al giro di vite sull’export

Ultimo aggiornamento: 10 Febbraio 2023 alle 10:02

Dal decreto ‘Ucraina bis’ un disincentivo all’export di rottame di ferro verso Paesi non Ue. Nel 2020 appena 450mila le tonnellate esportate, ma la misura punta soprattutto a contenere il rialzo dei prezzi trainato dalla domanda della Turchia

Norme più stringenti per disincentivare l’esportazione di rottami ferrosi dall’Italia. Sono quelle adottate dal governo con il decreto legge 21, cosiddetto decreto ‘Ucraina bis’, con le quali l’esecutivo punta a dare un giro di vite ai flussi di ferro riciclato verso Paesi al di fuori dell’Unione europea. Nello specifico, fino al 31 luglio 2022, le imprese italiane o stabilite in Italia che intendono esportare, direttamente o indirettamente, fuori dall’Unione europea i rottami ferrosi hanno l’obbligo di notificare, almeno dieci giorni prima dell’avvio dell’operazione, al Ministero dello sviluppo economico e al Ministero degli affari esteri una informativa completa dell’operazione. Chiunque non osservi l’obbligo rischia una sanzione amministrativa pecuniaria pari al 30 per cento del valore dell’operazione.

Il provvedimento, sul quale si discuteva da diversi giorni, ha trovato spazio in extremis nel nuovo decreto con le misure per contrastare gli effetti del conflitto ucraino. Effetti umanitari ma anche economici, come i fermi e rallentamenti della produzione che ormai non si contano più tra le imprese del comparto siderurgico, schiacciate oltre che dal peso dei rincari energetici anche dalle ripercussioni del conflitto sul mercato delle materie prime: i semilavorati in acciaio, provenienti dall’Ucraina, la ghisa, importata dalla Russia, ma anche e soprattutto i rottami in ferro, che in Italia arrivano un po’ dappertutto (prevalentemente dai Paesi dell’Ue) e il cui prezzo nelle ultime settimane è schizzato alle stelle trainato dalla domanda della Turchia, principale consumatore globale: oggi si sfiorano i 400 euro la tonnellata, ovvero il doppio del valore di mercato di un anno fa.

Rimasto a corto del rottame russo e ucraino (ancora a gennaio di quest’anno l’Ucraina era per la Turchia il principale fornitore di rottame) il colosso asiatico punta ora infatti a fare incetta sul mercato del Vecchio Continente, e la cosa rischia di far male all’acciaio italiano, che nel 2020 è stato prodotto per oltre l’80% in forni ad arco elettrico alimentati con oltre 20 milioni di tonnellate di rottame. Di queste, circa 5 vengono acquistate sul mercato dell’Ue mentre quasi tutto il resto proviene da riciclatori nazionali. Secondo le imprese dell’acciaio il rischio è che le aggressive politiche di mercato di Ankara possano sottrarre quote di rottame al mercato nostrano. Cosa che per le acciaierie italiane significherebbe meno materia prima disponibile e a prezzi ancora più alti, visto che con la sua domanda la Turchia setta il ‘benchmark’ ovvero il prezzo di riferimento per tutti gli altri Paesi.

Tradotto, significa che per comprare rottame le imprese dell’acciaio devono pagare una cifra uguale o superiore a quella offerta dalla Turchia. Una competizione che per molti operatori, già segnati dal caro energia, potrebbe essere impossibile da sostenere. Secondo Assofermet, l’associazione dei riciclatori di metalli, il rischio di una ‘fuga a levante’ del rottame italiano in realtà non sussiste, dal momento che nel 2020 l’export verso Paesi non Ue, Turchia in testa, aveva riguardato quote minimali di rottame, appena 450mila tonnellate, peraltro bilanciate da una quota quasi equivalente (307mila tonnellate) che le acciaierie hanno acquistato da Paesi extra Ue a prezzi più bassi “con lo scopo di calmierare il prezzo nazionale”, spiega l’associazione in un position paper.

Da sempre infatti sia le acciaierie che i commercianti di rottami cercano sul mercato extra Ue prezzi più vantaggiosi, le prime per comprarne a un costo più basso, i secondi per venderlo a un valore più alto. Una dinamica che, pur riguardando quote minimali, a sua volta si riflette sul prezzo al quale il rottame viene scambiato sul mercato italiano, tenendolo in tensione: abbastanza in alto da remunerare i riciclatori, non troppo da dissanguare le acciaierie. Una tensione che il decreto 21 allenta di colpo, rendendo più difficile collocare il rottame sul mercato extra Ue e schermando quindi il prezzo dall’influsso della domanda della Turchia. Ciò significa che per acquistarlo dai riciclatori italiani le acciaierie non dovranno più misurarsi con la concorrenza turca e potranno quindi chiedere prezzi più bassi.

Una scelta che non sorprende, dal momento che l’imperativo oggi è quello di tenere giù i costi di produzione per non spremere ulteriormente i già prosciugati bilanci delle imprese dell’acciaio, che già nelle scorse settimane avevano fatto appello al ministro dello Sviluppo Economico Giancarlo Giorgetti per un giro di vite sull’export di rottame. Ora la misura, di fatto il primo tassello di una nuova economia di guerra, darà corpo alle loro richieste. Il rottame di ferro, scrive il governo, è la prima ‘materia prima critica‘ di una lista di prossima pubblicazione per la quale le operazioni di esportazione al di fuori dell’Unione europea saranno soggette all’obbligo di notifica. Non un blocco totale, insomma, ma un disincentivo all’export che più che scongiurare il rischio di fughe di rottame verso la Turchia servirà a neutralizzare o quasi i rialzi dei valori di mercato. Per la gioia delle acciaierie, che fino a luglio di fatto saranno le uniche a ‘fare il prezzo‘, e nel disappunto dei riciclatori.

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