Rifiuti organici, “servono regole chiare per favorire lo sviluppo ordinato del mercato”

di Luigi Palumbo 05/05/2025

Tra sentenze, tariffe a doppia velocità e rifiuti che attraversano l’Italia, il sistema del riciclo organico cerca un equilibrio. Il nodo tra prossimità e libero mercato resta irrisolto, mentre istituzioni, operatori e autorità di regolazione chiedono indirizzi univoci per evitare che siano i giudici a decidere ancora una volta


Servono indicazioni chiare per guidare l’ordinato sviluppo del sistema industriale di riciclo dei rifiuti organici da raccolta differenziata. L’ennesimo intervento della giustizia amministrativa sul mai completamente risolto nodo del rapporto tra prossimità e libero mercato, con una nuova sentenza del Consiglio di Stato nell’ambito di una querelle tra operatori privati e stazioni appaltanti pubbliche, segnala la necessità di completare il quadro di riferimento, in aggiunta a quanto già definito dal Programma Nazionale di Gestione dei Rifiuti e dagli interventi di ARERA. È la stessa autorità di regolazione, del resto, a sottolineare la necessità di un intervento “a livello giurisprudenziale o quanto meno applicativo, magari nella forma di linee guida, tali da minimizzare il possibile rischio di contenzioso”, come ha ricordato il direttore della divisione ambiente di ARERA Lorenzo Bardelli nel corso di un digital talk su Ricicla.tv.

L’attenzione dei portatori d’interesse, authority inclusa, resta rivolta al tavolo di lavoro convocato dal Ministero dell’Ambiente su impulso della risoluzione approvata lo scorso anno dalla commissione Ambiente del Senato per fare chiarezza sul meccanismo ARERA di regolazione delle tariffe di conferimento agli impianti, il cosiddetto sistema degli ‘impianti minimi’, ripartito nel 2024 dopo lo stop imposto dal Consiglio di Stato. “Stiamo lavorando, anche se non con i tempi auspicati dai portatori d’interesse” ha ammesso il direttore generale per l’economia circolare del MASE Luca Proietti, “ma cercheremo nei prossimi mesi di giungere a qualche determinazione, anche sulla base degli investimenti del PNRR, a seguito dei quali occorrerà in ogni caso fare una valutazione di contesto per definire le azioni successive”, ha chiarito. L’obiettivo “resta quello di garantire l’adeguata disponibilità di impianti in tutte le aree della nazione – ha detto – sulla base delle necessità e contemperando il principio di prossimità con quello del libero mercato“.

Lo scenario, almeno stando agli ultimi dati disponibili riferiti al 2023, vede 373 impianti operativi a livello nazionale, che hanno trattato 7,5 milioni di tonnellate di rifiuti organici, tra umido e verde, “il 28% delle quali è stato gestito fuori regione”, ha chiarito Andrea Lanz, direttore del centro per l’economia circolare di ISPRA. In diversi casi i flussi sono finiti in impianti collocati in regioni limitrofe, in linea con l’indicazione del PNGR di chiudere il ciclo almeno a livello di macroarea, “ma si continuano a registrare casi in cui i flussi viaggiano per l’intero Paese”, dice. In testa per quantità esportate restano Campania, Lazio e Toscana, ma i dati ISPRA dicono anche che le regioni del nord, e in particolare Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna, hanno ricevuto rifiuti da regioni a ogni altezza dello Stivale, incluse Puglia, Calabria o Sicilia.

Flussi che, soprattutto quando diretti verso Lombardia o Veneto, sembrano guidati non solo dalla effettiva disponibilità di spazi negli impianti di trattamento, ma anche dalle basse tariffe di conferimento: circa 50 euro per tonnellata in media nelle due regioni del nord, stando al monitoraggio effettuato dal GSE, a fronte di una media nazionale compresa tra 60 e 90 e con picchi anche di 100-140 in regioni come Sicilia, Puglia e Calabria. Cosa che spiega perché “spesso i rifiuti viaggiano anche se nelle regioni di partenza gli impianti ci sono” come ha sottolineato Lella Miccolis, presidente del Consorzio Italiano Compostatori, o ancora perché “alcune stazioni appaltanti attribuiscono al principio di prossimità solo un valore economico, e non quel valore di tutela ambientale che dovrebbe essere prevalente”. Altro fenomeno da approfondire, aggiunge la presidente del CIC, l’aumento dei trattamenti intermedi, ovvero dei conferimenti verso siti di trasferenza, impianti di messa in riserva o simili, figli “di una cattiva interpretazione del principio di prossimità, considerata rispetto al primo impianto di conferimento e non all’impianto finale”.

In questo scenario, il Programma Nazionale ha fissato i criteri che devono guidare la pianificazione dei nuovi impianti da parte delle Regioni, il sistema degli ‘impianti minimi’ punta a fare in modo che le carenze territoriali di trattamento non determinino costi eccessivi a carico dei cittadini, e i prossimi interventi di ARERA, sia nell’ambito della qualità tecnica che del MTR-3, aiuteranno a calibrare i servizi di gestione dei rifiuti urbani e le tariffe sulla base di un set di indicatori che “tenga conto degli impatti di tutte le attività chiamate in causa e scongiurare il rischio di favorire assetti sbagliati”, ha garantito Bardelli. Un cruscotto di strumenti da integrare però con istruzioni precise. Al momento, infatti, il compito di sciogliere il nodo del rapporto tra prossimità e concorrenza – “che non è particolarmente nuovo”, ha osservato Bardelli – resta affidato quasi esclusivamente alle stazioni appaltanti, che però si muovono in ordine sparso. E il risultato è che spesso sulla prossimità, più che il libero mercato, finisce per prevalere la necessità di comuni e gestori di tenere bassi i costi di conferimento, e di conseguenza le tariffe al cittadino. “Serve fare chiarezza – ha detto Miccolis – con regole certe, chiare, stabili ed eque“.

È immaginabile uno scenario che riesca a contemplare tutte e le dimensioni in gioco: tutela ambientale, economicità delle gestioni, giusta remunerazione degli operatori industriali, sviluppo ordinato dell’offerta impiantistica? “In primis il sistema degli ‘impianti minimi’ dovrebbe offrire una certezza alle stazioni appaltanti rispetto all’ambito in cui vengono svolte le gare, se di mercato o caratterizzato da effettive carenze – ha spiegato Francesco Iacotucci di ANCI – ma servono anche indicazioni certe, ad esempio su come misurare e ‘pesare’ la distanza e la qualità degli impianti nelle scelte di affidamento”. Evitando così che ognuno “possa sentirsi dire dal TAR di turno se le sue valutazioni sono corrette o meno. Prevenire è meglio che curare, quanto più riusciamo a dare elementi certi a chi deve scegliere, tanto più aiutiamo il sistema ad avere un’evoluzione ordinata, nella direzione attesa”. “C’è volontà da parte di tutti di giungere a un assetto più consolidato e stabile – ha concluso Bardelli – l’autorità cercherà di fare la sua parte per i profili di competenza, ma l’auspicio è che si facciano delle scelte adesso, affinché nei prossimi anni si possa avere un assetto del settore che sia solido, efficiente e con una concorrenza che vada a vantaggio dell’utente finale”.

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