Rifiuti organici, Italia leader ma è allarme qualità e ‘overcapacity’

di Luigi Palumbo 10/10/2023

La filiera italiana del biowaste si conferma leader in Ue per raccolta e riciclo. Ma la qualità della differenziata, che peggiora, e il proliferare degli impianti di trattamento rischiano di minare la sostenibilità economica del sistema


L’Italia si conferma best performer europeo nel riciclo dei rifiuti organici, ma il peggioramento della qualità delle raccolte differenziate e la proliferazione incontrollata di impianti di trattamento rischiano di minarne il primato. È l’allarme lanciato dagli operatori della filiera in occasione della presentazione del quarto volume della collana dedicata al riciclo del biowaste curata dal Consorzio Italiano Compostatori, andata in onda questa mattina in streaming su Ricicla.tv. Fotografia di un settore d’eccellenza dell’economia circolare nostrana, vero e proprio avamposto industriale della transizione ecologica nel nostro paese. “L’Italia genera ogni anno circa 8 milioni di tonnellate di rifiuti organici – spiega Massimo Centemero, direttore generale del CIC – che vengono trasformati in più di 2 milioni di tonnellate di compost e oggi anche in biometano, per circa 250 milioni di metri cubi. Una duplice produzione di materia ed energia”.

Un primato, quello italiano, che parte dalla raccolta. “In Ue la media europea di intercettazione del biorifiuto, inteso come umido e verde, è al 30%“, racconta Enzo Favoino, ricercatore della Scuola Agraria del Parco di Monza. Il sistema italiano oggi invece supera il 50% sia per il biowaste in generale che per i soli scarti da cucina. Con autentiche punte d’eccellenza. “A Milano – dice – viene catturato l’87% dell’organico generato dalla città. Non è il 100%, ma ci stiamo andando vicino”. Se le quantità di rifiuti organici raccolte in maniera differenziata sono in aumento sull’intero territorio nazionale, e puntano verso l’obiettivo dei 10 milioni di tonnellate l’anno, la qualità però peggiora. “Soprattutto per l’umido domestico, quindi lo scarto alimentare, siamo quasi al ‘warning’“, avverte Centemero. Ovvero al punto in cui il sistema rischia di incepparsi per effetto delle quantità crescenti di materiali non compostabili che finiscono nella differenziata. A partire dai sacchetti di plastica tradizionale, vietati dal 2010 ma in alcuni territori utilizzati ancora in maniera prevalente per raccogliere gli scarti domestici, fino addirittura al 70% del totale. “Dobbiamo assolutamente intervenire”, dice il direttore del CIC. Anche perché per ogni punto percentuale di impurità nella raccolta si generano tre punti circa di scarto da smaltire, con costi a carico dei gestori degli impianti. La soluzione, spiegano gli operatori, passa soprattutto per una migliore comunicazione al cittadino.

Parallelamente alle quantità della differenziata (e dei materiali estranei) continua a crescere anche il numero degli impianti di trattamento, prima per effetto del ciclo di incentivi al biometano del 2018 e oggi grazie alla leva dei fondi PNRR. “Abbiamo 28 impianti finanziati, 13 dei quali al Centro-Sud, l’area con il maggiore deficit impiantistico” spiega il capo dipartimento per lo sviluppo sostenibile del Ministero dell’Ambiente Laura D’Aprile. Senza dimenticare che anche il nuovo ciclo di incentivi al biometano, finanziato pure questo dal PNRR con 1,7 miliardi di euro, supporta la realizzazione di impianti per il trattamento dei rifiuti organici (9 quelli che sono fin qui riusciti ad accedere ai bandi del GSE). Un sistema di sostegni “che sta evolvendo in maniera un po’ disordinata“, dice la presidente del CIC Lella Miccolis, secondo cui “siamo in un momento storico in cui in quasi tutta l’Italia si è ribaltato il rapporto tra le quantità raccolte e la disponibilità impiantistica“, osserva. Vale a dire che se da un lato la rete sempre più fitta di impianti garantirà la gestione di prossimità anche nelle regioni che erano meno infrastrutturate, dall’altro rischia però di generare fenomeni di ‘overcapacity’, cioè un eccesso di offerta rispetto alla domanda che potrebbe far crollare le tariffe di ingresso negli impianti e metterne a repentaglio la sostenibilità economica. “Serve una ricognizione impiantistica attualizzata, che non può essere basata sui dati di due anni fa”, chiarisce Miccolis riferendosi alle tempistiche di pubblicazione dei dati annuali sulla gestione dei rifiuti urbani da parte di Ispra.

Il boom degli impianti di trattamento per effetto degli incentivi al biometano è la dimostrazione che “ci stiamo concentrando molto sulla valorizzazione dell’energia e poco sulla materia“, spiega Centemero, ricordando che il compost resta il prodotto principe della filiera del biowaste, alleato sempre più prezioso nelle azioni di contrasto alle grandi emergenze ambientali del nostro tempo. “Un antidoto alla desertificazione dei suoli – spiega Lella Miccolis – ma anche al cambiamento climatico, con la sua capacità di sequestrare CO2 dall’atmosfera”. Una risorsa da valorizzare meglio, dice il CIC, anche andando oltre le tradizionali applicazioni nel settore agricolo e florovivaistico. “Vogliamo lanciare l’idea dell’urban carbon farming – dice Centemero – per utilizzare il compost nel verde pubblico e nelle opere pubbliche come ferrovie e autostrade. Nella valorizzazione dei criteri ambientali minimi per il settore del verde ornamentale sarebbe bello iniziare un percorso che aiuti i compostatori a chiudere il cerchio un po’ come in accaduto negli Stati Uniti, dove gli operatori hanno sottoscritto accordi con il Department of Transportation per utilizzare il compost lungo le highway”.

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