Secondo Ref ricerche i piani regionali di gestione dei rifiuti sono spesso “esercizi di stile” in cui la quantificazione del fabbisogno di trattamento risulta sistematicamente “artefatta”. Ecco perché oggi più che mai serve un Programma nazionale
Dall’ennesima crisi romana nell’era post-Malagrotta alla rinnovata disputa per la costruzione di un termovalorizzatore (o forse due) in Sicilia, passando per l’infinita querelle sui ritardi della Campania, con l’immancabile corollario di inchieste giudiziarie e indagati eccellenti: mai quanto nelle ultime settimane il dibattito sulla gestione dei rifiuti urbani sembra cristallizzare alla perfezione il concetto di eterno ritorno. Passano gli anni, si alternano governi nazionali e governatori regionali, i ministri vanno e vengono ma i problemi no. Soprattutto al Centro-Sud quelli invece restano, e anzi semmai si aggravano: i rifiuti sono sempre troppi e gli impianti per trattarli, trasformandoli in nuova materia o energia, sempre troppo pochi e sempre più difficili da realizzare. Perchè? “La pianificazione regionale ha finito spesso per risolversi in un esercizio di stile – spiega il Laboratorio Ref Ricerche nel suo ultimo position paper – la quantificazione dei fabbisogni è stata sistematicamente ‘artefatta’, magnificando gli esiti delle politiche di prevenzione e lo sviluppo delle raccolte differenziate, piegando al ribasso gli scenari di produzione di rifiuti”.
E il risultato è che oggi “in Italia, per molti cittadini e amministratori locali, la definizione del problema ‘gestione rifiuti’ sembra coincidere con la negazione della necessità di costruire impianti, ritenendo che la tariffa puntuale e una raccolta differenziata spinta siano la soluzione di tutti i mali. Purtroppo, così non è“, osserva Ref, e anzi queste pianificazioni “a prescindere”, spiega l’istituto, tanto ricche di buoni propositi quanto povere di indicazioni concrete sugli impianti da realizzare “mantengono le premesse per il verificarsi di periodici episodi emergenziali e il perpetrarsi di costose migrazioni dei rifiuti lungo l’asse Sud-Nord del Paese e verso l’Estero”. Tant’è che l’istituto di ricerca calcola in circa 89mila i TIR che trasportano ogni anno i rifiuti lungo lo Stivale dal luogo di produzione a quello di trattamento: 244 al giorno, di cui 187 in partenza dalle sole Lazio e Campania, le due regioni con il deficit più elevato, rispettivamente 900mila e 700mila tonnellate di rifiuti indifferenziati e organici spediti ogni anno in altre regioni o all’estero. Con il costo del servizio più elevato: 447 euro in Campania e 383 nel Lazio, per una famiglia media.
Servono “metodologie robuste di pianificazione, linee guida e obiettivi in grado di guidare i Piani regionali”, spiega Ref. Un’occasione preziosa, in questo senso, sarà data dalla stesura del Programma nazionale di gestione dei rifiuti, lo strumento di pianificazione introdotto lo scorso anno dal decreto legislativo 116 del 2020 e integrato di fatto nel Piano nazionale di ripresa e resilienza tra le riforme necessarie ad accelerare il percorso verso gli obiettivi europei di circolarità: 65% di riciclo e 10% massimo di smaltimento in discarica dei rifiuti urbani al 2035. “Può diventare la bussola con cui definire una Strategia nazionale per i rifiuti omogenea e i criteri di efficacia per i Piani regionali” si legge nel position paper, introducendo “metodologie robuste di pianificazione, linee guida e obiettivi in grado di guidare i Piani regionali”.
Proprio rispetto alle metodologie di pianificazione, per Ref il Programma nazionale dovrà fornire alle regioni strumenti che garantiscano una descrizione corretta e oggettiva del problema e delle possibili soluzioni, andando oltre il sempre più frequente “generico richiamo ‘all’impiantistica’ per individuare tecnologie e capacità necessarie a sviluppare un sistema di gestione integrato”. Per farlo, spiega l’istituto, occorre partire dall’individuazione e quantificazione delle frazioni “per cui non si ha autosufficienza regionale e che generano elevati costi di trasferimenti intermedi e di trasporto fuori regione e fuori Italia” e definire scenari alternativi per la loro gestione. Ad esempio utilizzando il metodo dell’Analisi dei flussi, già sperimentato in casi reali sia su scala locale che regionale, come in Emilia-Romagna. E visto che anche di fronte all’oggettività dei dati le regioni potrebbero non resistere alla tentazione di continuare a pianificare ‘a prescindere’ pur di non riconoscere la necessità di realizzare i sempre più impopolari impianti di trattamento, sarebbe auspicabile, aggiunge Ref, “prevedere percorsi ‘cogenti’ che impegnino le amministrazioni regionali ad attuare quanto pianificato, con un monitoraggio annuale dello stato di attuazione dei Piani parte del MiTE e il ricorso all’esercizio di poteri sostitutivi in caso di deviazioni sistematiche dagli obiettivi”.