Imballaggi: il Conai dalla Luiss frena l’apertura del mercato

di Monica D'Ambrosio 26/01/2017

Concorrenza sì, concorrenza no. È questa la questione sulla quale negli ultimi mesi si è aperto un dibattito che vede coinvolti i consorzi facenti capo a Conai, quelli che operano sul libero mercato e l’Antitrust che ha disposto un’indagine conoscitiva sul settore, sostenendo che il sistema Conai, benché meritevole di aver spinto l’Italia verso il raggiungimento degli standard europei di recupero degli imballaggi, dall’altro lato ha consolidato un sistema che non può più funzionare da solo e che ha bisogno di essere messo in discussione da una maggiore concorrenzialità.

Proprio per fare chiarezza nel mare di opinioni discordanti, l’Università Luiss Guido Carli, ha condotto e presentato una ricerca promossa proprio dal Conai dal tema “La gestione dei rifiuti di imballaggio in Italia: profili e criticità concorrenziali”, presentata questa mattina in via Pola a Roma, alla presenza di Giovanni Pitruzzella, Presidente AGCM (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato), Raffaele Bifulco, Vice Capo Gabinetto Ministero dell’Ambiente e Claudio Andrea Gemme, Presidente Gruppo Tecnico Industria e Ambiente di Confindustria.

Secondo i dati emersi, non sempre il meccanismo della “concorrenzialità” sarebbe garanzia del rispetto e della tutela ambientale. «L’Antitrust certamente ha tutto l’interesse a far sì che il settore sia aperto a concorrenza – ha commentato Michele Grillo, Professore Ordinario di Economia Politica presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e già componente del Collegio dell’Autorità Garante per la Concorrenza e il Mercato – ma non si può pensare di non promuovere tale concorrenza senza regolare un comparto. Si incapperebbe nel rischio di veder concorrere imprese su fette di mercato remunerative, e sguarnite di servizi quelle che invece producono minori benefici economici. Dunque la concorrenza va bene, ma solo se ci si attiene al presupposto sancito dal testo unico ambientale secondo il quale il servizio nel comparto degli imballaggi, deve essere universale. La nostra ricerca porta argomenti all’attenzione dell’Antitrust che sembrava caldeggiare la libera concorrenza anche qualora essa si manifestasse solo per alcuni segmenti di mercato».

L’Italia, che stando ai dati 2015 ha avviato a recupero il 66% dell’immesso a consumo complessivo, avvicinandosi agli standard europei fissati tra i 50 e l’80%, ha adottato un sistema che assicura una prestazione universale del servizio, che garantisce cioè la gestione degli imballaggi in maniera omogenea su tutto il territorio nazionale, a prescindere dal tipo di imballaggio. In questo modo, grazie all’accordo che il Conai ha stretto con la pubblica amministrazione, nessuna area geografica del paese o frazione merceologica che genera pochi o nessun ritorno economico, rimane esclusa dal servizio offerto dal sistema consortile.

Ma altro nodo della questione al quale fa appello il libero mercato per sottrarre il monopolio al Conai nella gestione del sistema, è quello relativo alla non corrispondenza tra livello contributivo ambientale e costi dell’impatto ambientale. Su questo punto la ricerca sostieme che in effetti è possibile lavorare per produrre risultati migliori. «Salvaguardia dell’ambiente e tutela della concorrenza, non sono due obiettivi necessariamente confliggenti – ha affermato Roberto De Santis, presidente Conai – inoltre, qualunque sia il quadro normativo di riferimento, esso deve mettere tutti i soggetti interessati di fronte ad una chiara assunzione di responsabilità circa gli obblighi e gli oneri che essi si assumono per effetto della loro attività. Se si va in questa direzione, non saremo certo noi ad opporci ad una normativa sul nuovo mercato».

La ricerca presentata, si iscrive in un contesto di grandi discussioni che coinvolgono anche esponenti della legislatura che, proprio in queste settimane, hanno avviato una serie di audizioni in Commissione Bicamerale d’inchiesta sui rifiuti, per raccogliere pareri e voci dei consorzi privati che gestiscono, a loro dire, fette di mercato importanti e senza le quali l’Italia non avrebbe potuto raggiungere le percentuali di recupero chieste dall’Europa e che fanno del nostro Paese, nonostante tutto, un Paese virtuoso.

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