Nuovi impianti e riorganizzazione del ciclo: così riparte Genova

di Giuseppe De Stefano 15/06/2016

Ad inizio giugno la Giunta regionale guidata da Giovanni Toti ha rinnovato l’accordo con il Piemonte per il conferimento dei rifiuti del Genovese fino a fine anno. La proroga di per sé era prevista e pressoché scontata, ma è stata occasione per l’assessore regionale all’ambiente Giampedrone per dare una sferzata alla Città Metropolitana chiedendo un cambio di passo in particolare all’Amiu e allo stesso Comune di Genova.

Il capoluogo ligure, infatti, per densità e centralità, ma anche per la cronicità delle condizioni in cui versa, resta il territorio da “attaccare” per rilanciare la gestione dei rifiuti dell’intera regione. Allo stato attuale i dati ci dicono che Genova manda all’impianto per la produzione di CDR di Saliceti 30mila tonnellate di indifferenziato e fino a fine anno con il recente rinnovo manderà in Piemonte fino a 117mila tonnellate circa di rsu. Bastano questi dati a fare una prima stima su quanto l’area metropolitana del Genovese sia attualmente deficitaria per la gestione di almeno 140mila tonnellate di indifferenziato.

Il mese scorso però la Città Metropolitana ha approvato un nuovo piano rifiuti che aggiorna l’organizzazione della gestione del ciclo fino al 2020. Sul fronte impiantistico la svolta ruota soprattutto intorno al polo di Scarpino 3, sito che dopo la chiusura definitiva dei primi due storici invasi dovrebbe diventare un polo per il trattamento dei materiali. «Scarpino 3 sarà sede di questo impianto, che è veramente innovativo anche come dimensioni, e sarà affiancato da una discarica di servizio dove, cioè, verrà accantonata la frazione del residuo secco – spiega Enrico Pignone, consigliere metropolitano della Città di Genova tra i principali fautori della nuova programmazione ambientale all’ombra della Lanterna – da programmazione il secco in entrata dovrebbe essere pari a circa 235mila tonnellate, che grazie ad un incremento della differenziata e attraverso il trattamento dovrebbero ridursi a 150mila». In questo modo si arriverebbe a sopperire a quel fabbisogno che ad oggi non permette a Genova di essere autonoma: oltre che a Scarpino, che inizierà a prendere forma da fine 2016, il piano metropolitano prevede l’individuazione delle nuove aree da destinare ai nuovi biodigestori ed ai separatori secco-umido (TMB) presso il nuovo sito di Orero e presso la discarica in attività di Rio Marsiglia. Ma il passaggio non sarà immediato. «La programmazione è una programmazione al 2020 e per darci il tempo necessario alla costruzione di questi impianti prevede, inevitabilmente, il rinnovo di questi accordi con il Piemonte e con l’Emilia – chiarisce Pignone – ne abbiamo bisogno, a questo punto».

Il piano metropolitano dovrà confrontarsi con la programmazione unica regionale attualmente in vigore, ed è attualmente sotto esame da parte della commissione per la Vas. Ma non c’è da discutere soltanto di impiantistica: sul tavolo della programmazione c’è anche una riorganizzazione del ciclo, che passerà dalla realizzazione di 8 bacini definitivi di affidamento, all’interno dei quali si punta a raggiungere un efficientamento della raccolta differenziata – che con il recente coordinamento del Conai per la città di Genova dovrebbe spingere sul porta a porta e sull’estensione di un sistema puntuale di tariffazione. Piano che però sarà oneroso: si parla di 15 milioni di euro in cinque anni. Nel frattempo che la differenziata raggiunga i suoi obiettivi, i conferimenti extraregionali continueranno ad avere un impatto sulle tasche dei cittadini e bisogna aggiungere pure il peso dell’ecotassa straordinaria fissata dalla giunta regionale per il doppio obiettivo del 40% entro fine anno e del 65% al 2020. Sul capitolo dei costi il dialogo con la Regione, però, trova degli ostacoli. «La raccolta differenziata al 65% prevedeva un certo impegno economico, logistico e non solo. Se poi gli obiettivi si alzano al 65% di recupero materia allora la quantità della differenziata diventa almeno del 75-80%: che per una città con le difficoltà di Genova è un po’ inverosimile – ammette il consigliere Pignone – a meno che non ci si investa con un forte sostegno da parte della Regione. Regione che da una parte fa una legge che io apprezzo, perché molto sfidante, ma dall’altra stanzia un milione di euro per tutto il territorio regionale. Con un milione di euro non vado da nessuna parte».

Oltre il sostegno regionale, però, c’è anche l’evoluzione futura del gestore. La legge Madia sulla pubblica amministrazione spinge ad una privatizzazione delle partecipate e l’Amiu, che attualmente gestisce raccolta e igiene urbana a Genova, sarà accompagnata in questo percorso. «Nel 2020 ci sarà una gara regionale, per cui io devo anche creare le condizioni perché un’azienda in house com’è quella genovese possa partecipare a questa gara e ad oggi non posso fare a meno di pensare che la necessità sia quella di dotarsi di un partner industriale – conclude Pignone, che però ribadisce – d’altra parte il concetto di privatizzazione deve essere finalizzato a un servizio vero: la dismissione delle in-house proposta dalla legge Madia ci permette di investire in deroga al patto di stabilità le risorse ricavate dalla cessione delle quote, e quindi è molto allettante. Il concetto che stiamo cercando di portare avanti è che pubblico e privato non sono né bene e né male: sta tutto nelle capacità delle amministrazioni di governare finalizzati un servizio pubblico».

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