Gli impianti vecchi (riconvertiti) e nuovi di trattamento dei rifiuti possono accedere, in virtù del decreto ministeriale datato dicembre 2013, a degli “invitanti” incentivi da parte del gestore dei servizi energetici (GSE). La concessione degli incentivi agli impianti scadrà nel 2018 e riguarda la produzione di biometano a partire dalla digestione anaerobica dei rifiuti organici.
La frazione organica della raccolta, infatti, costituisce la componente più critica degli rsu e tramite l’incentivazione della produzione di gas naturale dal suo trattamento si è forse trovata la leva economica necessaria a stimolare l’interesse dell’imprenditoria coniugabile ad una volontà politica che, sia pure in ritardo, pare che stia rispondendo a questo stimolo (come dimostrano pianificazioni di Liguria e Campania, due regioni non esattamente virtuose).
La versatilità del biometano – chiaramente classificabile nella categoria delle rinnovabili – è la connotazione che ne rende auspicabile la diffusione e l’utilizzo, sia perché può essere bruciato per produrre energia elettrica, sia perché può essere immesso direttamente nelle reti di distribuzione cittadine o essere finalizzato ai trasporti (per alimentare i mezzi a metano). I rifiuti organici, insomma, nasconderebbero una chiave per alleggerire la nostra dipendenza energetica dall’estero, rappresentando, in caso di diffusione capillare, un passo in avanti sia in termini di economia che di sostenibilità ambientale verso un modello reale di applicazione dell’economia circolare.
L’Italia, come sempre, potrebbe fare molto di più. Nel parco impiantistico nazionale, gli impianti che trattano l’organico tramite la digestione anaerobica, al netto di alcuni impianti di compostaggio dotati di linee dedicate alla biodigestione, sono soltanto 29, e scendono a 18 se consideriamo gli impianti attivi che producono biogas dalla loro attività di trattamento.
I dati vengono dal rapporto Rifiuti Urbani 2015 stilato dall’Ispra, nel quale – tra le altre cose – si analizza l’afflusso di rifiuti organici negli impianti di biodigestione tra 2013 e 2014. Afflusso che, a fronte di una più generalizzata contrazione sul dato complessivo della produzione di rifiuti, nel 2014 è appunto calato nell’ordine del 16% sul totale dei rifiuti trattati. Le quantità lavorate dagli impianti di biodigestione, infatti, sono scese da quota oltre 1milione 43mila tonnellate del 2013, alle 875mila 558 tonnellate del 2014. Stringendo l’attenzione ai soli rifiuti provenienti dalla frazione organica della raccolta differenziata (che costituiscono circa la metà della “materia prima” accolta dai biodigestori italiani) le proporzioni rimangono simili, con un afflusso che tra 2013 e 2014 è sceso del 13,8%, passando da 526.886 a 453.949 tonnellate.
Nonostante l’incidenza dei fattori economici e le politiche che spingono per un costante abbattimento della produzione di rifiuti, tuttavia, pare improbabile prevedere che questi tassi di riduzione rimangano costanti: è quindi difficile immaginare che gli impianti di biodigestione rimangano “affamati”. Quel che è certo è che già oggi potremmo ricavare più risorse energetiche di quanto non facciamo. Al netto di alcune statistiche non disponibili e alla luce di quanto di cui sopra rispetto alla dotazione tecnologica degli stabilimenti, nel 2014 dalle suddette 875.558 tonnellate di organico sono stati prodotti poco più di 61milioni 933mila metri cubi di biogas, convertiti in 605.191 megawatt di energia (tra recupero termico e recupero elettrico).
Non si tratta di cifre astronomiche (basti pensare che la punta di domanda del 2015 è stata raggiunta con 56.883 Megawatt in un solo giorno: il gas dai biodigestori sarebbe sufficiente a coprire il fabbisogno per poco più di 10 giorni così) ma di certo è un numero migliorabile tramite un incremento qualitativo della raccolta differenziata (e quindi dei servizi locali) ed una maggiore capillarità degli impianti (e quindi tramite la pianificazione regionale).
Una prospettiva di crescita confermata dalle statistiche europee: secondo il CIC (consorzio italiano compostatori) l’Italia viene solo dopo la Germania per quantità di rifiuti organici trattati e produzione di compost. Uno spostamento degli equilibri in favore della produzione di biometano anche tramite la riconversione di alcuni impianti (strada ampiamente percorribile grazie agli incentivi garantiti dal GSE) permetterebbe all’Italia di collocarsi in un’inaspettata posizione di leadership a livello europeo.
caro De Stefano, non ho compreso la sua affiliazione, proviene forse da un ente marziano? ha seguito il business del biometano in Germania? meno dell’1% degli impianti a biogas lo stanno producendo, non funziona per veicoli da trazione, suoli e falde nel 90% del nostro paese sono in condizioni precarie se non perse; sa la differenza fra rapporto C/N nel compost e nel digestato? fra ACV e ACM?
lo sa che il 64% degli impianti incentivati FER non fotovoltaiche non aveva diritto a prendere un cent? 400 milioni di truffa scoperti?
l’energia è la materia, la sostenibilità non è basata su incentivi.
La leggerezza non è una piuma che volteggia e poi cade, è un uccellino che continua a volare.