Impianti minimi, rinviata la valutazione sulla richiesta di sospensiva di ARERA

di Luigi Palumbo 10/05/2023

Il Consiglio di Stato ha rinviato la decisione sulla richiesta di sospensiva avanzata da ARERA nei confronti delle sentenze del TAR che hanno demolito il sistema degli impianti minimi per il trattamento dei rifiuti. Il laboratorio Ref Ricerche: “Ora serve un intervento chiarificatore del Ministero”


Il sistema degli impianti minimi di ARERA resterà ‘congelato’, almeno fino a novembre. Nella giornata di ieri il Consiglio di Stato ha infatti rinviato la decisione sulla richiesta di sospensiva avanzata dall’autorità di regolazione nei confronti delle sentenze del TAR Lombardia che hanno demolito il meccanismo di tariffe al cancello lanciato nel 2021 dall’authority. Tre pronunciamenti di fatto identici, nei quali i giudici hanno stabilito come il sistema sia in contrasto “con il riparto di competenze tra Stato e Regioni”, avendo attribuito agli enti territoriali il potere di individuare gli impianti considerati indispensabili alla chiusura del ciclo e di assoggettarli a un regime di flussi prestabiliti e tariffe regolate. Un potere, quello di individuare gli impianti ‘minimi’ – e quindi i fabbisogni minimi di trattamento da soddisfare – che secondo i giudici l’ordinamento riconosce invece solo allo Stato e, nello specifico, al Ministero dell’Ambiente.

Una lettura che, almeno per il momento, sembra convincere anche i giudici del Consiglio di Stato, che a novembre dovranno pronunciarsi nel merito sullo stop definitivo al meccanismo ARERA e, contestualmente, anche sulla richiesta di sospensiva. Prima ancora di conoscere il parere definitivo del Consiglio, avverte però il laboratorio Ref Ricerche in un recente position paper, servirebbe “un intervento chiarificatore del Ministero” per “definire il disegno di mercato per il trattamento della frazione organica”. Il pasticcio del sistema di tariffe al cancello, chiarisce infatti Ref, è solo l’ultimo di una lunga serie di nodi irrisolti sul piano della gestione a recupero dei rifiuti organici, che “vede coesistere un assetto di mercato definito ex lege nel TUA (Testo Unico in materia Ambientale)” con una “prassi regolatoria e amministrativa non sempre coerente”. Da un lato la prevista libera circolazione delle frazioni differenziate avviate a recupero di materia, dall’altro un principio di prossimità interpretato non di rado in chiave estremamente restrittiva.

È in questo spazio di ambiguità, spiega Ref, che si inserisce il meccanismo delle tariffe al cancello di ARERA, che riconosce alla Regioni il potere di individuare gli impianti per il trattamento dei rifiuti organici indispensabili alla chiusura del ciclo e di sottrarli di fatto al libero mercato, agganciandoli a un sistema di flussi prestabiliti e tariffe non determinate dalla libera concorrenza ma stabilite a monte. “Un passaggio – scrive Ref – nel quale il disegno di mercato per la frazione organica, a recupero, viene assimilato al disegno di mercato per il rifiuto urbano indifferenziato” nella valutazione “che i due flussi condividano peculiarità e ritardi di infrastrutturazione, cosa peraltro in parte vera almeno sino agli anni più recenti”. Visto che, come riportato di recente anche dal CIC, anche se restano ritardi soprattutto nelle regioni del Centro-Sud, gli investimenti in campo (PNRR compreso) stanno portando il parco impianti nazionale verso l’autosufficienza.

“La criticità dell’impostazione seguita da ARERA è stata quella di associare l’individuazione degli ‘impianti minimi’ alla pianificazione dei flussi verso tali infrastrutture, sottraendoli di fatto al mercato: una bacinizzazione dei flussi”. Prassi in uso già da diversi anni in molte regioni, scrive Ref, e in qualche modo uscita rafforzata dall’entrata in vigore del Programma Nazionale di Gestione dei Rifiuti, che in un’ottica di ripianamento dei gap territoriali di gestione “indica chiaramente l’obiettivo di autosufficienza regionale nel trattamento della frazione organica”, si legge nel position paper. Misura che “ha posto le basi per una lettura restrittiva ed erronea del principio di libera circolazione” e che “ha poi ‘orientato’ le scelte operate anche dalle Regioni in tema di ‘impianti minimi'”. Scelte censurate prima dall’antitrust, che in una segnalazione le aveva definite “lesive della libera concorrenza”, e successivamente dalle tre sentenze del TAR Lombardia, nelle quali si sottolinea come “il mandato conferito alle Regioni per l’individuazione degli ‘impianti minimi’ va oltre le funzioni attribuitele ex lege e si scontra con il riparto delle competenze tra Stato e Regioni”.

Del resto, ricorda Ref, era stata la stessa ARERA ad auspicare che l’adozione del Programma Nazionale fosse l’occasione per “ridefinire il fabbisogno impiantistico nazionale, prospettando che l’individuazione degli ‘impianti minimi’ avvenisse mediante un intervento governativo”. Cosa che invece non è accaduta. Ecco perché, secondo Ref, serve un intervento chiarificatore del Ministero, che definisca un assetto di mercato capace di tenere assieme le esigenze di infrastrutturazione dei territori in ritardo con quelle di tutela della libera concorrenza sul mercato. Una ipotesi potrebbe essere quella di ripercorrere almeno in parte la strada già battuta dai decreti attuativi (annullati dal TAR) del cosiddetto ‘Sblocca Italia’: una ricognizione del sistema impiantistico con una stima dei fabbisogni di trattamento per ogni macroarea e l’indicazione degli impianti ‘minimi’ soltanto per le macroaree in deficit. In questo modo, chiarisce Ref, si arriverebbe “all’avvio di un mercato di macroarea in grado di assicurare che la movimentazione del rifiuto avvenga entro distanze ragionevoli, entro i confini regionali o in regioni contigue”. Ferma restando, chiarisce l’istituto, la necessità a quel punto di trovare risposta a un’ulteriore serie di questioni aperte, come la classificazione degli impianti finanziati dal PNRR e la definizione dei criteri per misurare le rigidità strutturali dei mercati locali e di macroarea.

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